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Mantenimento dei minori

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOTra i doveri che ciascun genitore ha nei confronti della prole assume preminente rilievo quello al ''mantenimento''. Il concetto di mantenimento ha una portata molto ampia e si riferisce alla necessità di provvedere ''a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, nonché all'assistenza morale e materiale ed all'opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione''. Tale obbligo, come tutti gli altri che caratterizzano la c.d. responsabilità genitoriale, trova il proprio fondamento nella procreazione stessa e non nella relazione tra i genitori. La conseguenza più chiara di tale considerazione è che se il matrimonio non si presenta quale fondamento della responsabilità genitoriale allora la stessa sussiste anche in presenza di prole "naturale" ed inoltre, cosa che in questa sede più interessa, il venir meno dell'affectio coniugalis o della convivenza more uxorio non riduce, né tanto meno elimina, la portata di tali obblighi. La potestà genitoriale stessa è qualificabile come diritto-dovere strumentale al corretto e costante adempimento degli obblighi verso i figli. Attraverso i provvedimenti di carattere economico, resi a favore dei figli, si vuole garantire la conservazione, per quanto possibile, delle abitudini e del precedente tenore di vita. Ciò che si vuole evitare al minore, invero, è lo stravolgimento della sua quotidianità a causa dell'improvviso sopravvenire della crisi tra i genitori. Fornire alla prole la certezza, nei limiti del realizzabile, di vivere ed attraversare serenamente la fase patologica in cui la propria famiglia incorre è l'obiettivo fondamentale che il legislatore, come qualsiasi altro operatore giuridico, deve porsi in via prioritaria. Questo discorso se è valido per ciò che concerne gli aspetti personali-morali dell'affidamento della prole lo è altrettanto per quelli più strettamente materiali-economici, ovvero per il mantenimento stesso. Giungere ad adottare la giusta soluzione richiede, ovviamente, un'attenta analisi delle peculiarità della fattispecie concreta portata innanzi all'autorità giudiziaria: ogni famiglia infatti è diversa tanto durante il sereno svolgimento della propria quotidianità quanto, e forse ancor di più, quando incontra difficoltà che la portano a sgretolarsi. Ponendo attenzione nello specifico a come la legge n. 54 del 2006 intervenga sull'art. 155 c.c. in merito al mantenimento della prole, infatti, risalta subito agli occhi la particolare rilevanza che si vuole garantire alle singole caratteristiche del caso concreto, soprattutto attraverso i cinque parametri elencati al comma IV° e destinati a realizzare al meglio il principio di proporzionalità nella partecipazione di ciascun genitore al mantenimento dei figli, come si prescrive nella famiglia unita ex art. 148 c.c., comma I°. Tanti dunque sono gli elementi che il giudice è chiamato a valutare per adottare la decisione opportuna anche perché, oltre a dover indicare l'entità del contributo posto a carico di ciascun genitore deve altresì determinare la modalità con cui tale dovere va adempiuto. (mantenimento diretto, ecc.). L'art. 155 c.c., comma IV°, si apre con il richiamo al reddito di ciascun genitore che la giurisprudenza prevalente ritiene implicitamente comprensivo del riferimento alla ''capacità di lavoro professionale e casalingo'' ex art. 148 c.c. Il riferimento al reddito, quindi, va inteso in senso ampio, ovvero come complessiva situazione economico reddituale delle parti le cui evoluzioni successive inoltre, in meglio o in peggio che siano, legittimano la proposizione di eventuali domande di revisione delle disposizioni precedentemente adottate. Il legislatore al comma VI° dell'art. 155 c.c. introduce il potere del giudice di disporre accertamenti da parte della polizia tributaria. Questi sono indubbiamente indirizzati a chiarire la situazione reddituale delle parti al fine di giungere effettivamente a garantire al minore il giusto contributo a carico di ciascun genitore. La giurisprudenza dominante è dell'orientamento che ''L'esercizio del potere di disporre indagini a mezzo della polizia tributaria sui redditi e sui beni dei genitori (...) ai fini del riconoscimento e della determinazione del contributo dovuto per il mantenimento dei figli, non costituisce infatti un dovere, imposto dalla semplice contestazione delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche, ma è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito''. Chiaramente ogni documentazione, elemento e circostanza di qualsiasi genere merita di essere oggetto di attenzione da parte del giudice, al fine di ricostruire correttamente la situazione economico-reddituale delle parti. Per quanto riguarda i parametri fissati all'art. 155 c.c., comma IV°, quello indicato al numero 1 sembra assumere particolare rilievo proprio in considerazione del fatto che ciò che si vuole garantire al minore è la conservazione del precedente tenore di vita, come se la famiglia non avesse mai subito la crisi. Anche l'individuazione delle ''attuali esigenze'' dei figli rappresenta un parametro di fondamentale rilievo data nel tempo l'evoluzione delle stesse. I tribunali sono ormai da tempo dell'opinione costante ed univoca che le esigenze dei minori crescano con l'avanzare dell'età degli stessi, di tale circostanza non si richiede alcuna ''specifica dimostrazione'': la crescita legittima senza dubbio la presentazione di una domanda di revisione del mantenimento precedentemente disposto, la quale verrà accolta o rigettata sulla base, ovviamente, della nuova valutazione di tutti i parametri posti all'art. 155 c.c., comma IV°. Per quanto riguarda invece il ''tenore di vita goduto dal figlio'' durante la convivenza con i genitori è ovvio che tanti sono gli elementi che possono essere oggetto di valutazione finalizzati, appunto, a ricostruire correttamente lo stile di vita della famiglia fino al momento della disgregazione, così da consentire alla prole di mantenere le precedenti abitudini di vita senza vedersi stravolgere la propria quotidianità, cosa che rischierebbe di provocare grave pregiudizio alla sua crescita serena e corretta. Per quanto riguarda i parametri fissati ai punti n. 3 e 5 il legislatore sembra dare spazio agli altri modi con cui i genitori si occupano del soddisfacimento dei bisogni dei figli, ovvero modi più diretti e di diverso contenuto rispetto alla somministrazione periodica di denaro. Prendere in considerazione quanto tempo il minore trascorre con ciascun genitore e quantificare in termini economici i ''compiti domestici e di cura'' svolti dallo stesso significa dare rilievo alle medesime forme di contribuzione dei genitori al soddisfacimento dei bisogni giornalieri della prole che sono consuetudinarie ed addirittura ovvie nella famiglia unita. Il riferimento ulteriore alle ''risorse economiche di entrambi i genitori'' è indiscutibilmente necessario dato che ''il livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore'' incide senza dubbio sulle valutazioni e decisioni del giudice, le stesse aspettative, esigenze e bisogni del minore si individuano anche in base alla richiamata posizione economica. La riforma del 2006 dà ampio spazio all'autonomia negoziale delle parti nell'organizzazione e gestione di ogni aspetto dell'affidamento della prole ma sempre ponendo quale fondamentale limite la salvaguardia del preminente ed esclusivo ''interesse morale e materiale della stessa''. L'importanza di lasciare spazio alla libertà negoziale dei genitori, seppur in modo ridotto e con meno spessore rispetto a quanto avviene quando nella crisi non è coinvolta la prole, permette di evidenziare nuovamente come il legislatore abbia voluto, per quanto possibile, garantire ai figli la conservazione di un ambiente sereno ed abitudinario, non stravolto quindi da continue ed aspre liti tra i genitori per la gestione dell'affidamento. La finalità resta sempre e comunque quella di permettere alla prole di crescere serenamente, senza subire sconvolgenti cambiamenti e rilevanti pregiudizi nella propria formazione a causa dell'interruzione della relazione sentimentale tra i propri genitori. Tale constatazione palesa, inoltre, la necessità di realizzare un'effettiva responsabilizzazione dei genitori chiamati sempre e comunque, in presenza o meno della crisi tra di loro, ad occuparsi con cura e devozione ai figli ed all'adempimento dei doveri genitoriali di cui sono onerati nei confronti degli stessi. Anche il tema dell'assegnazione della casa familiare è strettamente connesso a quello della tutela del minore al fine di garantirgli la prosecuzione delle precedenti abitudini di vita attraverso la conservazione del proprio originario habitat domestico. Quest'ultimo, infatti, non è solo il luogo materiale in cui si è fino ad allora svolta la vita della famiglia unita ma anche, o forse ancor di più, è il centro di affetti, di emozioni, di ricordi che fanno parte della quotidianità dei figli e devono accompagnarli nella loro crescita. L'assegnazione della casa familiare quindi, rientrando nell'ampia portata del dovere genitoriale di mantenimento della prole, è subordinata alla tutela della stessa e si presenta quale componente con cui il genitore non assegnatario, titolare esclusivo o contitolare dell'immobile, contribuisce al mantenimento dei figli collocati nell'abitazione con il genitore assegnatario dello stesso.

Matteo Santini*

Avvocato del Foro di Roma

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