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Agonisti o amatori: chi decide?

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOE' nozione ben nota che nel nostro ordinamento giuridico le pronunce della Corte di Cassazione sono inoppugnabili, ma è altrettanto pacifico che esse, pur rappresentando un autorevole precedente giurisprudenziale, non vincolano i giudici di merito nelle loro successive determinazioni. Quindi non vi è alcun obbligo giuridico di attenersi ai principi espressi dalla Suprema Corte, anche se poi raramente Tribunali e Corti d'Appello se ne discostano, almeno fino a che nel tempo i giudici di piazza Cavour non modificano il loro indirizzo giurisprudenziale. Questa premessa si è resa necessaria perché in questi giorni si parla molto della sentenza n° 15394/2011 emessa appunto dalla Corte di Cassazione nell'ambito di un giudizio intentato nei confronti di un Ente di Promozione Sportiva. Con tale decisione, tra l'altro, l'EPS nazionale si è visto condannare al risarcimento dei danni derivati dalla morte di un giocatore nell'ambito di un torneo organizzato da un suo Comitato Provinciale, mentre nel contempo è stata valutata come attività agonistica la partecipazione al suddetto evento. Tralasciando di valutare l'ambito sostanziale del relativo giudizio, in questa sede preme evidenziare due pericolosi principi di diritto che scaturiscono dalla decisione della Suprema Corte, principi che minano l'autonomia dei nostri enti. Innanzitutto un forte attacco viene portato alla previsione dell'autonomia gestionale ed amministrativa dei Comitati periferici nel momento in cui la Suprema Corte afferma che tale autonomia deve essere interpretata in maniera oltremodo restrittiva quando i terzi non hanno a disposizione un sufficiente patrimonio di riferimento da attaccare al fine di tutelare i propri eventuali diritti. Vogliamo semplificare al limite del paradosso? Questo principio se allargato a dismisura potrebbe condurre a ritenere i padri tenuti al risarcimento dei danni provocati dai figli maggiorenni! Tornando a noi, seppur legittima appare la volontà di offrire la massima tutela ai terzi danneggiati, di certo non si può invocare, come fa la Cassazione, l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 2049 del codice civile, cioè di quella norma che sancisce la "responsabilità dei padroni e dei committenti" per i danni arrecati dai fatti illeciti commessi dai loro sottoposti nell'esercizio delle proprie funzioni. Appare infatti evidente che nessun rapporto di subordinazione, se non gerarchico ma di contenuto politico/associativo, lega struttura centrale ed organi periferici di un EPS e quindi i responsabili di questi ultimi non sono legati alla dirigenza nazionale da un rapporto di lavoro subordinato. Tornando alla sentenza anche un altro aspetto di essa appare poco convincente, quando cioè la Cassazione denuncia la scarsa chiarezza delle norme regolamentari interne. Quasi tutti gli statuti degli EPS sanciscono in maniera netta e precisa l'autonomia gestionale ed amministrativa della periferia rispetto al centro, e pertanto il terzo ha elementi più che esaustivi per comprendere che l'organizzazione, e quindi la responsabilità, di un evento promosso da una struttura locale non coinvolge l'EPS nazionale. Altro aspetto "pericoloso" della sentenza risiede nel principio, espresso in guisa forse un po' semplicistica, in base al quale in ogni occasione in cui lo scopo del gioco è la vittoria ci si trova alla presenza di una attività agonistica, con tutte le conseguenze di natura sanitaria. Anche qui per un attimo lasciamoci andare alla ricerca del paradosso: se dieci ragazzini organizzano una partitella di pallone in cortile lo fanno per perdere? No di certo, ed allora i genitori devono procurarsi un certificato di sana e robusta costituzione? E se quei dieci ragazzini aderiscono ad una ASD per partecipare ad un torneo amatoriale, quale certificazione sanitaria deve pretendere la società, quella relativa all'attività amatoriale o agonistica? E se quei ragazzini crescendo vengono impegnati in campionati ufficiali diventano o meno agonisti? In tutte queste fasi giocano per vincere, come lo fanno gli adulti che partecipano a tornei amatoriali, ma ciò non vuol dire che si trasformino in agonisti. Peraltro la Cassazione nella sua sentenza omette nella maniera più assoluta di prendere in considerazione il DM 18/2/1982 inerente la tutela sanitaria dell'attività sportiva. Detto decreto infatti sancisce la competenza di FSN ed EPS in ordine alla definizione dell'attività agonistica e di quella amatoriale, con le conseguenze del caso per quanto attiene gli aspetti di tutela sanitaria. Ben venga il potenziamento di quest'ultima, ed il Parlamento è impegnato proprio a ricercare l'emissione di norme più efficaci, ma senza farsi coinvolgere, nei deprecati casi di eventi luttuosi, dall'emotività, rimanendo in sintonia con le leggi vigenti.

Alessandro M. Levanti

Avvocato del Foro di Roma

Vice Presidente ASI

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