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Equo processo e protezione proprietà

Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 luglio 2013 - Ricorso n. 29385/03 - Gagliardi c.Italia

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

SENTENZA

STRASBURGO

Ricorso n. 29385/03

GAGLIARDI

contro Italia

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Gagliardi c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:

Dragoljub Popović, presidente,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, giudici,

e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione f.f.,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 25 giugno 2013,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 29385/03) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, il sig. Mario Gagliardi ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 29 agosto 2003 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avv. G. Romano, del foro di Benevento. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, N. Lettieri.

3. Il 9 novembre 2009 il ricorso è stato comunicato al Governo. In applicazione del Protocollo n. 14, il ricorso è stato assegnato ad un comitato.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente, sig. Mario Gagliardi, è un cittadino italiano, nato nel 1940 e residente a Benevento.

5. In data imprecisata, il ricorrente ricevette la conferma della sua assunzione presso il Consorzio antitubercolare di Benevento.

6. A partire dal 22 febbraio 1990, egli cominciò ad esercitare le funzioni di centralinista non vedente.

7. In data imprecisata, le funzioni svolte dal Consorzio furono trasferite ai servizi sanitari locali (Unità Sanitarie Locali, "l'USL") n. 5 di Benevento.

8. Dopo 28 giorni, a causa del rifiuto dell'USL, il ricorrente non ottenne il contratto di assunzione definitiva.

9. Il 1° gennaio 1995, l'USL fu messa in liquidazione, fu nominato un commissario per la liquidazione dei suoi crediti e debiti e l'ASL («Azienda Sanitaria Locale») le succedette nella gestione di tutte le cause di natura amministrativa.

A. Il procedimento principale

10. Dopo avere costituito in mora l'USL, il 20 giugno 1990, il ricorrente chiese al tribunale amministrativo regionale ("il TAR") della Campania di ordinare il suo reintegro nel posto di lavoro.

11. Con sentenza dell'8 novembre 1995, depositata in cancelleria il 18 gennaio 1996, il TAR accolse il ricorso del ricorrente.

12. L'8 marzo 2002 il Consiglio di Stato confermò la sentenza del TAR rigettando l'appello dell'USL di Benevento. La decisione fu depositata in cancelleria il 30 settembre 2002 e trasmessa all'ASL di Benevento, che agiva in qualità di Commissario liquidatore dell'USL, il 4 ottobre 2002.

13. Vista la persistente inazione dei servizi sanitari locali, il 30 gennaio 2003 il ricorrente costituì in mora l'ASL n. 1 di Benevento, poi, il 18 marzo 2003, propose ricorso di esecuzione dinanzi al TAR ("giudizio di ottemperanza").

14. Con sentenza del 14 maggio 2003, depositata in cancelleria il 16 luglio 2003, osservando che l'amministrazione non aveva adottato alcuna misura al fine di ottemperare alla sentenza dell'8 novembre 1995, il TAR ordinò all'ASL di eseguire la detta sentenza entro sessanta giorni a decorrere dal 16 luglio 2003. In caso contrario, sarebbe stato nominato un Commissario ad acta per assicurarne l'esecuzione.

15. Visto il rifiuto dell'ASL di conformarsi alla sentenza del TAR, fu nominato un Commissario ad acta. Questi ordinò all'ASL il reintegro del ricorrente e il pagamento degli stipendi arretrati.

16. In data imprecisata, tenuto conto del persistente rifiuto dell'ASL di ottemperare alle indicazioni del Commissario, il ricorrente sporse querela contro i responsabili dell'inadempimento.

17. L'ASL decise di reintegrare il ricorrente il 23 dicembre 2003 con effetto al 1° gennaio 2004 senza, tuttavia, versargli gli arretrati.

18. Il ricorrente proseguì la procedura di conciliazione obbligatoria davanti al giudice del lavoro. Tuttavia, tale procedura non diede alcun risultato per l'assenza del rappresentante dell'ASL.

19. Tenuto conto dell'inerzia dell'ASL, il commissario responsabile per la liquidazione dei crediti e dei debiti dell'USL pagò gli stipendi arretrati maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.

B. La procedura "Pinto"

20. Il 18 aprile 2001, mentre era ancora pendente il procedimento principale, il ricorrente si rivolse alla Corte lamentando la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

21. Il 13 marzo 2003, il ricorrente adì la corte d'appello di Roma conformemente alla legge Pinto al fine di lamentare la durata del procedimento.

22. Con decisione depositata in cancelleria il 29 luglio 2003, la corte d'appello constatò il superamento della durata ragionevole e accordò al ricorrente 4.900 EUR per danni morali e 650 EUR per spese da liquidare direttamente all'avvocato.

23. Non essendo stata notificata ai sensi dell'articolo 285 del codice di procedura civile, tale decisione divenne definitiva il 28 ottobre 2004.

24. Le somme accordate in esecuzione della decisione "Pinto" furono pagate il 19 luglio 2004. Il ricorrente ricevette 5.011,83 EUR.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

25. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta "legge Pinto", figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE QUANTO ALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE

26. Il ricorrente lamenta l'eccessiva durata del procedimento civile. Dopo avere tentato la procedura "Pinto", egli ritiene che l'importo accordato dalla corte d'appello a titolo di danno morale non sia sufficiente per riparare il danno causato dalla violazione dell'articolo 6 § 1 così redatto nelle parti pertinenti:

Articolo 6 § 1 della Convenzione

"Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)"

27. La Corte osserva che il ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione al fine di contestare la decisione della corte d'appello "Pinto", che è divenuta definitiva il 28 ottobre 2004.

28. Il ricorrente sostiene che, a causa della riparazione insufficiente e del tempo trascorso per ottenerla, il ricorso Pinto non è effettivo e, di conseguenza, non costituisce, in linea di principio, un rimedio da esaurire.

29. La Corte rammenta che né l'insufficienza dell'importo accordato (Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 43-46, 15 maggio 2007 e Simaldone c. Italia, sopra citata, §§ 71-72) né il ritardo nel pagamento degli indennizzi "Pinto" (Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 84, 31 marzo 2009) mettono in discussione, al momento, l'effettività di questa via di ricorso.

30. Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (si veda Di Sante c. Italia (dec.), n. 56079/00, 24 luglio 2004).

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 13 E 53 DELLA CONVENZIONE

31. Il ricorrente lamenta l'inefficacia del rimedio Pinto a causa dell'insufficiente riparazione accordata dalla corte d'appello Pinto e del ritardo nel pagamento della stessa. Egli invoca gli articoli 13 e 53 della Convenzione.

32. La Corte ritiene che questo motivo di ricorso debba essere considerato unicamente sotto il profilo dell'articolo 13 della Convenzione.

33. Alla luce delle conclusioni a cui è giunta la Corte nei precedenti paragrafi 29-30, è opportuno dichiarare irricevibile questo motivo di ricorso in quanto manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 QUANTO AL RITARDO DELLE AUTORITÀ NAZIONALI NEL CONFORMARSI ALLA DECISIONE DELLA CORTE D'APPELLO PINTO

34. Il ricorrente afferma che il ritardo delle autorità nazionali nel conformarsi alle decisioni "Pinto" ha comportato la violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1. L'articolo 6 della Convenzione è citato nel precedente paragrafo 26 e l'articolo 1 del Protocollo n. 1 è così redatto nelle parti pertinenti:

Articolo 1 del Protocollo n. 1

"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale (...)."

A. Sulla ricevibilità

35. Il Governo ritiene, innanzitutto, che il ricorrente non sia più "vittima" della violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto il ritardo controverso è stato compensato dal riconoscimento di interessi moratori e, all'occorrenza, di spese sostenute nella procedura di esecuzione forzata.

36. A sostegno, il Governo avanza argomenti che la Corte ha già respinto, da ultimo, nella sentenza Belperio e Ciarmoli c. Italia (n. 7932/04, 21 dicembre 2010).

37. Non vedendo motivi per derogare a tale approccio, la Corte rigetta l'eccezione sollevata dal Governo e ritiene che il ricorrente possa ancora sostenere di essere "vittima", ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione.

38. Il Governo eccepisce poi il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente non ha intentato una seconda procedura "Pinto" per lamentare il ritardo nel pagamento della somma Pinto.

39. La Corte ha già considerato in più occasioni (si veda, in particolare, Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 44, 31 marzo 2009) che esigere dal ricorrente un nuovo ricorso "Pinto" per lamentare la durata dell'esecuzione della decisione "Pinto" equivarrebbe a immetterlo in un circolo vizioso in cui il cattivo funzionamento di un rimedio lo costringerebbe ad avviarne un altro. Una tale conclusione sarebbe irragionevole e costituirebbe un ostacolo sproporzionato all'efficace esercizio da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale, quale definito all'articolo 34 della Convenzione (si veda la sentenza Pedicini e altri c. Italia [comitato], n. 48117/99, § 30, 25 settembre 2012). Pertanto, è opportuno rigettare l'eccezione sollevata dal Governo.

40. Nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria della Corte il 4 marzo 2010, vale a dire circa tre mesi prima dell'entrata in vigore del Protocollo n. 14, il Governo solleva, infine, un'eccezione relativa all'assenza di danno rilevante per il ricorrente, perché questi ha ottenuto interessi moratori per il ritardo nel pagamento della somma Pinto e, comunque, avrebbe potuto adire il giudice nazionale per ottenere la compensazione dovuta per la durata eccessiva della procedura di esecuzione.

41. Il Governo fa riferimento al testo dell'articolo 35 § 3 b) della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 14, secondo il quale la Corte può dichiarare un ricorso irricevibile quando "il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell'uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno".

42. La Corte osserva innanzitutto che il Protocollo n. 14 alla Convenzione è entrato in vigore il 1° giugno 2010.

43. È quindi opportuno chiedersi se siano soddisfatte le condizioni di applicazione enunciate nell'articolo 35 § 3 b) della Convenzione nella redazione derivata dal Protocollo n. 14.

44. Per quanto riguarda il concetto di "pregiudizio importante", la Corte tiene a sottolineare che il fatto che i giudici interni avrebbero riconosciuto, poi accordato una riparazione per violazione della Convenzione non comporta automaticamente che non vi sarebbe "pregiudizio" a carico del ricorrente, come sembra sostenere il Governo convenuto. Infatti, la valutazione riguardante l'assenza di un tale "pregiudizio" non si riduce a una stima puramente economica.

45. La Corte rammenta che, al fine di verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, vanno presi in considerazione in particolare i seguenti elementi: la natura del diritto di cui si deduce la violazione, la gravità dell'incidenza della violazione denunciata nell'esercizio di un diritto o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente. Nella valutazione di tali conseguenze, la Corte prenderà in esame, in particolare, la posta in gioco del procedimento nazionale o il suo esito (si veda, Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011).

46. La Corte osserva che, nel caso di specie, il ricorrente lamentava il ritardo nel pagamento di una somma Pinto. Essa rileva poi che la somma Pinto è stata pagata un anno dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d'appello, il che supera di sei mesi il termine per l'esecuzione delle decisioni Pinto considerato accettabile dalla Corte (Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, § 89, CEDU 2006 V; Simaldone, sopra citata, § 48). Infine, il ritardo riguarda il pagamento di 4.900 EUR accordato dalla corte d'appello Pinto per la durata eccessiva di un procedimento (12 anni per due gradi) riguardante il reintegro del ricorrente nel posto di lavoro nonché il pagamento degli stipendi arretrati.

47. Tenuto conto della durata del ritardo nel pagamento, dell'importo della somma Pinto e del fatto che si tratta di una somma accordata al fine di riparare una violazione della Convenzione la cui gravità non è trascurabile, la Corte ritiene che sia opportuno rigettare l'eccezione del Governo.

48. La Corte rileva che questo motivo di ricorso e quello relativo all'articolo 1 del Protocollo n. 1 non incorrono in altri motivi d'irricevibilità e, di conseguenza, li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

49. Il Governo rammenta che, tenuto conto dell'approccio seguito dalla Corte nelle cause Di Pede c. Italia e Zappia c. Italia (26 settembre 1996, Recueil des arrêts et décisions, 1996-IV), l'eventuale ritardo nel pagamento della somma accordata dovrebbe essere valutato nell'ambito della durata totale del procedimento giudiziario.

50. La Corte rammenta che nelle sentenze Simaldone c. Italia, sopra citata, e Gaglione ed altri c. Italia (n. 45867/07, 21 dicembre 2010), il ritardo nel pagamento delle somme Pinto costituisce una violazione autonoma dell'articolo 6 della Convenzione (diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive). Essa non vede motivi per derogare a tale approccio.

51. La Corte constata che la somma accordata è stata versata oltre sei mesi dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d'appello Pinto. Alla luce dei criteri stabiliti nelle sentenze Simaldone e Gaglione e altri (sopra citate), la Corte ritiene che tale ritardo costituisca una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

52. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare separatamente il motivo di ricorso formulato dal ricorrente sotto il profilo dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (Follo e altri c. Italia, n. 28433/03, 28434/03, 28442/03, 28445/03 e 28451/03, § 30, 31 gennaio 2012).

IV. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 QUANTO AL RITARDO DELLE AUTORITÀ NEL CONFORMARSI ALLA SENTENZA DEL TAR

53. Il ricorrente lamenta il ritardo delle autorità nazionali nel conformarsi alla decisione del TAR dell'8 novembre 1995, confermata l'8 marzo 2002 dal Consiglio di Stato, che impone all'amministrazione, in particolare, il reintegro del ricorrente nel posto di lavoro. Egli invoca l'articolo 1 del Protocollo n. 1.

54. Padrona della qualificazione giuridica dei fatti della causa, la Corte ritiene che questo motivo di ricorso richieda un esame sotto il profilo dell'articolo 6 della Convenzione.

55. La Corte osserva che questo motivo di ricorso non incorre in altri motivi di irricevibilità e, di conseguenza, lo dichiara ricevibile.

56. Il Governo sostiene che il ricorso di esecuzione davanti al TAR («giudizio di ottemperanza») avviato dal ricorrente costituisce un rimedio effettivo in caso di rifiuto da parte dell'amministrazione di conformarsi ad una sentenza dei tribunali interni. Infatti, secondo il Governo, nel caso di specie, il ricorrente fu non solo reintegrato nel posto di lavoro, ma ottenne gli stipendi arretrati maggiorati degli interessi legali e della rivalutazione monetaria senza avere lavorato nel periodo in questione e acquisendo così il diritto ad andare in pensione poco tempo dopo il reintegro. Non vi sarebbe stato, nel caso di specie, né «rifiuto né mancanza grave di adempiere l'obbligo di eseguire una decisione giudiziaria [...] né lesione dei diritti patrimoniali del creditore».

57. La Corte ha affermato più volte che il diritto ad un tribunale sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva ed obbligatoria rimanga inoperante a scapito di una parte. L'esecuzione di una sentenza, di qualsiasi organo giudiziario, deve quindi essere considerata parte integrante del «processo» ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione (Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 63 in fine, CEDU 1999-V, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40, Recueil des arrêts et décisions 1997 II).

58. Il principio riveste importanza ancora maggiore nel contesto del contenzioso amministrativo, in occasione di una controversia il cui esito è determinante per i diritti civili dell'amministrato. Ora la tutela effettiva della parte in giudizio e il ristabilimento della legalità implicano l'obbligo per l'amministrazione di piegarsi alla sentenza eventualmente emessa nei suoi confronti in ultimo grado. Se l'amministrazione rifiuta o omette di pagare, oppure tarda a farlo, le garanzie dell'articolo 6 di cui la parte in giudizio ha beneficiato durante la fase giudiziaria del procedimento perdono ogni ragion d'essere (Süzer e Eksen Holding A.Ş. c. Turchia, 23 ottobre 2012 n. 6334/05, § 115, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, sopra citata, § 41, Niţescu c. Romania, n. 26004/03, § 32, 24 marzo 2009, Iera Moni Profitou Iliou Thiras c. Grecia, n. 32259/02, § 34, 22 dicembre 2005).

59. Quale che sia la complessità delle sue procedure di esecuzione o del suo sistema amministrativo, lo Stato conserva l'obbligo, derivante dalla Convenzione, di garantire a chiunque il diritto che le sentenze obbligatorie ed esecutive emesse a suo favore siano eseguite entro un termine ragionevole (si veda, ad esempio, la causa Shmalko c. Ucraina, n. 60750/00, 20 luglio 2004, in cui la Corte ha ritenuto che un ritardo di un anno e due mesi costituisse un'ingerenza ingiustificata nei diritti tutelati dagli articoli 6 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1).

60. Una persona che abbia ottenuto una sentenza contro lo Stato non deve avviare un procedimento distinto per ottenerne l'esecuzione forzata: spetta essenzialmente alle autorità dello Stato garantire l'esecuzione di una decisione giudiziaria emessa contro quest'ultimo, e ciò dalla data in cui la decisione diviene obbligatoria ed esecutiva. Una tale sentenza deve essere notificata nella debita forma all'autorità interessata dello Stato convenuto, la quale è allora in grado di fare tutti i passi necessari per conformarvisi o per comunicarla ad un'altra autorità dello Stato competente per le questioni di esecuzione delle decisioni giudiziarie (Akachev c. Russia, n. 30616/05, 12 giugno 2008).

61. Nel caso di specie, la decisione del Consiglio di Stato è stata depositata in cancelleria il 30 settembre 2002 mentre il ricorrente è stato reintegrato dall'ASL solo il 1° gennaio 2004 (decisione dell'ASL del 23 dicembre 2003), dopo oltre un anno e tre mesi.

62. La Corte osserva anche che, ai fini dell'esecuzione della decisione del TAR, il ricorrente, benché non obbligato ad avviare alcuna azione, essendo l'ASL un servizio locale di gestione della salute pubblica affidato allo Stato, ha dovuto avviare nuovi procedimenti (in particolare, costituzione in mora del 30 gennaio 2003, ricorso di esecuzione al TAR del 18 marzo 2003, tentativo di conciliazione obbligatorio davanti al giudice del lavoro).

63. Inoltre, al fine di valutare se lo Stato abbia eseguito la sentenza entro un termine ragionevole, la Corte prende in considerazione nella sua giurisprudenza altri elementi relativi alla condizione personale del ricorrente, quali l'età, lo stato di salute, la natura di un eventuale handicap (Shmalko c. Ucraina, sopra citata, § 44). Nel caso di specie, dal fascicolo emerge che il ricorrente, non vedente, aveva 63 anni all'epoca dei fatti.

64. Infine, la Corte ritiene che il pagamento degli stipendi arretrati, maggiorati degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, possa essere considerato sufficiente a compensare i danni patrimoniali causati dalla mancata esecuzione della decisione del TAR, ma non sia secondo ogni evidenza atto a riparare lo sconforto e la frustrazione che il ricorrente deve avere subito a causa dei ritardi imputabili alle autorità. Inoltre, la Corte osserva che il fatto che il ricorrente abbia avuto diritto ad andare in pensione poco dopo il suo reintegro, è semplicemente la conseguenza dell'ostinato rifiuto opposto dall'amministrazione all'esecuzione della decisione del TAR.

65. La Corte osserva che la totale inerzia dell'USL (e dell'ASL a partire dal 1995) non era fondata su alcuna valida giustificazione. Alla luce di queste considerazioni, non è opportuno accertare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti individuali (si vedano Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 62, CEDU 1999–II; Karahalios c. Grecia, sopra citata, § 35).

66. Per tutti questi motivi, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

V. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

67. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,

"Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa".

A. Danni

68. Il ricorrente chiede 37.000 euro (EUR) per il danno morale che avrebbe subito.

69. Il Governo contesta queste richieste.

70. La Corte ritiene che sia opportuno accordare al ricorrente la somma di 2.500 EUR.

B. Spese

71. Il ricorrente chiede anche 10.000 EUR per le spese sostenute dinanzi agli organi giurisdizionali interni e per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

72. Il Governo si oppone a queste richieste.

73. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, e tenuto conto del fatto che il ricorrente non ha prodotto alcun documento a sostegno, la Corte rigetta la domanda.

C. Interessi moratori

74. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL'UNANIMITÀ,

1.Dichiara il ricorso ricevibile quanto ai motivi relativi agli articoli 6 della Convenzione (ritardo nel pagamento della somma Pinto e nell'esecuzione della sentenza del TAR) e 1 del Protocollo n. 1 (ritardo nel pagamento della somma Pinto) e irricevibile per il resto;

2.Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione (ritardo nel pagamento della somma Pinto);

3.Dichiara che non è opportuno esaminare il motivo relativo all'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione (ritardo nel pagamento della somma Pinto);

4.Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione (ritardo nell'esecuzione della decisione del TAR);

5.Dichiara

a.che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, 2.500 EUR (duemilacinquecento euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per il danno morale;

b.che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

6.Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 luglio 2013, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos

Cancelliere aggiunto

Dragoljub Popović

Presidente

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La tradizionale serata di fine anno della rivista Venerdì 16 dicembre 2011 la nostra Capitale ha cambiato aspetto, o almeno così è stato in via Flaminia 213 dove, presso lo Studio Leggi tutto