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I 12.000 della Procura

La circolare del Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, con la quale si limitano a 12.000 il numero dei processi da portare a dibattimento ogni anno è una di quelle iniziative sulle quali si discuterà per molto tempo, anche perché tutte le tesi, sia quelle favorevoli che quelle contrarie, hanno un loro fondamento.

Indipendentemente dalla posizione che ognuno voglia assumere, bisogna dare atto al dr. Pignatone di avere avuto coraggio e di essere un uomo che non teme di esporsi per tentare di assicurare funzionalità all'ufficio alla cui guida è preposto.

Infatti la portata della decisione che coinvolge il Tribunale più grande d'Europa esporrà il Magistrato ad una marea di critiche che potrebbero persino travolgerlo. Critiche che troveranno anche cassa di risonanza da parte di quelle forze occulte, ma non troppo, che inquinano la politica laziale e che sono lese nei loro interessi criminali dalla lotta serrata che la Procura di Roma sta facendo al riciclaggio del denaro sporco in imprese apparentemente pulite.

Proprio sulle pagine di questo numero di InGIUSTIZIA la PAROLA al POPOLO un altro Magistrato noto per la propria serietà e rettitudine, il Presidente Mario Bresciano, ha lanciato un grido di allarme per la carenza di personale nel Tribunale di Roma, insufficiente per celebrare i processi e, quindi, non appare condivisibile l'affermazione dell'Unione delle Camere Penali che la circolare della Procura si innesti nel tentativo della Magistratura di "conquistare spazi di discrezionalità politica senza sopportare la relativa responsabilità".

Il problema della carenza di personale e del numero eccessivo dei processi esiste e viene denunciato periodicamente da tutte le forze coinvolte nel meccanismo giustizia (sindacati degli operatori, avvocati, magistrati). Sicché non si può bollare come una iniziativa di potere il tentativo di non far affondare una barca di fatto abbandonata a se stessa dalla politica, senza mettere in dubbio l'onestà e la correttezza istituzionale di un uomo che cerca di utilizzare il proprio potere per dare un senso all'incarico ricevuto.

Le Camere Penali non volevano certo dire ciò, ma vi sono parole che rischiano di essere mediaticamente così virulente da offuscare le considerazioni in punto di diritto costituzionale che portano alla conclusione che la circolare è comprensibile e degna di rispetto per i motivi che l'hanno ispirata, ma non può essere né accettata né presa a modello. Se la giustizia, di fronte all'emergenza, rinnega i propri principi fondamentali, di fatto nega se stessa e potrebbe portare a quegli abusi che si imputavano al Fascismo e che il legislatore costituente ha voluto impedire, approvando il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale di cui all'art. 112 Cost.

Le Camere Penali non hanno rilevato come la norma richiamata sia dal dr. Pignatone sia dalla Presidente della Commissione Giustizia della Camera, on. Ferranti, per sostenere la bontà dell'iniziativa, cioè l'art. 227 del Decr. L.vo 51/1998, in luogo di conferire tale potere, sembra escluderlo.

Infatti tale norma è una disposizione transitoria nel contesto della riforma che portò all'abolizione delle Preture ed all'introduzione del giudice unico, limitata a quel contesto storico e, finalizzata esclusivamente, per volontà del legislatore, ad "assicurare la rapida definizione dei processi pendenti alla data di efficacia del presente decreto". In sintesi, una norma speciale che si è sottratta alla censura di violazione dell'art. 112 Cost. proprio perché relativa ad una organizzazione dei ruoli di udienza per un periodo riconosciuto dal Parlamento come emergenziale, ove non si poneva però un limite numerico, ma si dettava un criterio di priorità organizzative per le quali si doveva smaltire l'arretrato penale, tenendo "conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti, nonché dell'interesse della persona offesa".

Non potendosi attribuire ad una norma speciale transitoria, in contrasto con un principio fondamentale della Costituzione, un effetto estensivo al fine di ottenere il risultato di rendere in concreto funzionali gli uffici, la soluzione non può essere demandata a soggetto diverso dal legislatore e, comunque, l'emergenza non dovrebbe essere gestita con atti unilaterali di una componente del percorso processuale.

Infatti il C.S.M., approvando nella seduta del 20 ottobre 1999 la "risoluzione sul decentramento dei Consigli giudiziari", ne ha affermato la centralità nel sistema dell'autogoverno territoriale e quindi gli stessi appaiono l'unico organo che potrebbe dare disposizioni organizzative in situazioni emergenziali, considerate le attribuzioni organizzative che hanno con riferimento alla formazione dei ruoli dei giudici ex art. 7 bis R.D. 12/1941 ed il fatto che vedono nel loro seno anche le componenti dell'avvocatura e dell'università.

Hanno viceversa sicuramente ragione le Camere Penali allorché attribuiscono la responsabilità della situazione ad "una politica sempre più debole", così come è indubbio che, a volte, da parte di alcuni Magistrati e/o della stampa si utilizza l'emergenza per avallare "prassi distorte", che poi si trasformano in norme in seguito a modifiche legislative sull'onda di emozioni mediatiche per singoli eventi a volte in contrasto con le statistiche scientifiche relative al numero di fatti analoghi.

Si citano fatti veri e considerazioni corrette, quali che "l'attribuzione di un successo investigativo esclusivamente alle intercettazioni" ha anche il fine far ritenere all'opinione pubblica legittimo il "forzare i limiti fissati dall'art. 15 della Costituzione", o che "la mostrificazione dell'arrestato di turno, ritratto in manette all'uscita di casa" avviene perché i giornalisti sono lì su impulso del Magistrato inquirente che li utilizza come uno strumento di pressione e di condanna mediatica ancor prima che giudiziaria. Essi non possono però essere associati ad eventi di dubbia correttezza tecnica, il cui fine è la funzionalità della giustizia.

Per recuperare il proprio ruolo centrale a tutela della difesa, all'Avvocatura non occorre un Beppe Grillo in toga, ma azioni anche forti mediaticamente e politicamente che facciano comprendere che solo attraverso la collaborazione delle varie componenti del processo si realizza la pretesa di uno stato di dare giustizia.

di Romolo Reboa 

* Avvocato del Foro di Roma

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