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Chi di lodo ferisce...

Per oltre vent’anni questo giornale è stato pubblicato con la testata la PAROLA al POPOLO senza la lente di ingrandimento che caratterizza il successivo progetto di InGIUSTIZIA.
Si stampava in rotativa, nella tipografia di un quotidiano, e si operava quindi con lo spirito ed i ritmi tipici di quest’ultimo.
Passano gli anni, i capelli se ne vanno e quelli che restano si ingrigiscono, i ritmi di vita cambiano e con essi i progetti editoriali, ma chi ha vissuto la notizia come un partner condizionante della propria vita ha dentro di sé un fuoco che non smette mai di covare.
Così è stato quasi naturale fermare la macchina di stampa e sostituire il proprio articolo di fondo perché la Corte Costituzionale si era pronunciata sul Lodo Alfano.
Scrivo nell’immediatezza, a caldo, ben consapevole che, quando questo articolo sarà sui tavoli della maggioranza dei miei lettori, fiumi di inchiostro avranno sviscerato il tema e, magari, si saranno aperti ulteriori scenari che lo faranno apparire superato in quanto datato.
Tuttavia il richiamo di quei ritmi è troppo forte e spero che il lettore perdonerà chi ha una passione, sapendo che essa ha quale presupposto il cuore e non i cinici calcoli dei tecnici.
Il cuore ed i cinici calcoli dei tecnici: Silvio Berlusconi è indiscutibilmente un uomo di grandi possibilità, che può quindi avvalersi dei migliori consiglieri e, di fatto, è in grado di modellare l’ordinamento secondo i propri interessi imprenditoriali.
E’ anche un uomo che ha visto le proprie aziende passate al setaccio di tutte le possibili autorità di controllo che, se si comportassero così anche nei confronti di tutti gli altri imprenditori, l’Italia non avrebbe più reati societari o fiscali.
In un simile quadro ci si aspetterebbe una iniziativa legislativa di grande respiro e di altissimo profilo giuridico, volta ad eliminare certe storture, facendo così, insieme ai propri, gli interessi del Paese.
Berlusconi non è stato votato solo da persone di scarsa cultura che si lasciano influenzare dal potere mediatico delle sue televisioni, come afferma la maggioranza della opposizione con quello snobismo radical shic che le fa perdere le elezioni, ma da molti uomini e donne di cultura medio alta che ben sanno che egli non è un santo, ma ritengono che abbia capacità superiori di altri per fare gli interessi degli Italiani.
Al Berlusconi imprenditore ed ipercinetico che porta a casa risultati dei quali beneficiano tutti coloro che lo hanno votato (e non solo) i più sono disponibili a perdonare gaffes, conflitti di interessi ed altro nel ricordo delle parole di Gesù: «chi è senza peccato scagli la prima pietra».
Egli non può perdere o permettersi errori attribuibili a scarsa professionalità, in presenza dei quali il popolo si comporterebbe come i Romani con i gladiatori perdenti al Colosseo: pollice verso!
Non era necessario essere dei costituzionalisti per intuire che il Lodo Alfano avesse elevate probabilità di essere dichiarato incostituzionale, così come non era necessario essere dei fini giuristi per capire che la tecnica con la quale era stata redatta la norma (L. 124/2008), cioè un articolo unico, avrebbe reso più difficile difenderne anche solo una parte avanti la Corte Costituzionale.
Era palese che il Lodo Alfano aveva un senso se il suo scopo era quello di guadagnare tempo per giungere ad una riforma del codice di procedura penale che, in applicazione delle regole del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione, offrisse maggiori garanzie difensive a tutti gli imputati, tra cui l’on. Silvio Berlusconi.
Oppure che consentisse, nelle more, di approvare una legge costituzionale che sancisse la improcedibilità penale temporanea per le più alte cariche dello stato.
Il Governo poteva anche modificare la legge 124/2008, tenendo conto di alcune osservazioni contenute nella ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, o farne un’altra che, abrogandola, disciplinasse anche quella materia, provocando così un rinvio della decisione per motivi procedurali.
Il Governo aveva il tempo e forza politica data dal successo elettorale per adottare una riforma epocale che eliminasse le strutture del nostro sistema penale, modificando la figura ed il ruolo del pubblico ministero secondo i modelli francese o americano.
Incredibilmente nulla di tutto ciò è stato fatto e, contemporaneamente, Silvio Berlusconi ha ricevuto due colpi che metterebbero al tappeto qualsiasi persona, la condanna della Fininvest al pagamento della astronomica cifra di 750 milioni di euro al suo peggior nemico, l’editore di la Repubblica, e la perdita non solo dello scudo del Lodo Alfano, ma della credibilità conseguente una sconfitta ampiamente prevedibile.
Berlusconi è un imprenditore con le sue capacità e la sua arroganza, ma il responsabile di questa situazione non è lui, ma chi ha studiato e realizzato la sua strategia difensiva.
Il Presidente del Consiglio è una persona che, come si dice a Roma, ha una marcia in più rispetto a molte persone e che, grazie a questa, riesce apparentemente impossibili.
Una persona con simili responsabilità non può, però, affidare la propria difesa all’istinto personale o a considerazioni giuridiche quali quella dell’«utilizzatore finale» di prestazioni sessuali che si sono trasformate nella barzelletta preferita negli scambi di battute in aula tra avvocati e magistrati (e non solo tra di loro).
Nelle dichiarazioni a caldo dopo la dichiarazione di incostituzionalità del Lodo Alfano si è preannunciata, quale contromossa, la anticipazione di alcune norme del progetto di riforma del codice penale che, così, invece di essere un fatto giuridico storico (il superamento del Codice Rocco) diviene l’ennesima legge ad personam che sarà combattuta da una parte del paese.
Ciò provocherà la non accettazione delle sentenze emesse in sua applicazione ed ulteriori rimessioni alla Corte Costituzionale.
In attesa che l’Italia si pronunci sul premier, forse sarebbe meglio per lui e per il Paese che egli riorganizzasse il proprio staff legale…

Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma

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