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La lente non basta

Nell’articolo dal titolo Liberare il vento, pubblicato su queste pagine due mesi or sono ed ancora presente sul sito internet www.in-giustizia.it, ho illustrato i motivi per i quali ho deciso di accettare la proposta del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, avv. Alessandro Cassiani, di candidarmi nella Lista del Presidente nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio per il bienni 2010/2011.

Scrivevo allora che la mia sfida era liberare il vento, cioè dare vitalità alle energie di una categoria da troppo tempo imbalsamata in vecchi schemi, per lo più succube dei politici e della Magistratura a causa di una proletarizzazione che ha trasformato una professione prestigiosa in un ammortizzatore sociale per laureati in giurisprudenza che diversamente avrebbero scarse diverse prospettive di lavoro.

Eppure l’elevato numero degli iscritti, se costituisce un innegabile elemento fattore di riduzione dei guadagni dei singoli professionisti, ha quale contropartita che conferisce ai rappresentanti della categoria un potere di contrattazione con la classe politica potenzialmente elevato, dato che può indirizzare molti voti.

La Lista del Presidente ha fatto proprie le battaglie sulle cose concretie ed intellettuali che da anni sostengo attraverso questo giornale, sicché tutti gli avvocati hanno ricevuto i volantini caratterizzati dalla lente di ingrandimento, nei quali è stato aperto il confronto sui temi di interesse per chi esercita quotidianamente la professione, alcuni dei quali oserei definire caldi perché sinora tabù, quali le regole di trasparenza sull’affidamento degli incarichi giudiziari da parte della Magistratura.

Il numero degli accessi in pochi giorni al sito internet lalistadelpresidente.it, ove è possibile votare sulle proposte formulate, è stato tale da non lasciare dubbi che gli avvocati vogliono che il percorso che il Consiglio dell’Ordine sia del tutto diverso da quello spesso rissoso ed inconcludente che alcuni colleghi hanno provocato magari involontariamente, a causa di un carattere che fa esplodere l’aggressività all’interno del consesso, provocando così reazioni ed antipatie.

Un collega consigliere, colpito da una grave malattia, ne ha imputato la colpa alle polemiche consiliari, di cui altri lo ritengono a sua volta colpevole: e forse è vero ciò che dicono entrambi, perché il dibattito tra i professionisti incaricati di guidare la categoria troppe volte si è trasformato in denunce penali che mortificano l’avvocatura di fronte al proprio interlocutore naturale, la Magistratura, che viene così eletta a proprio superiore, essendo chiamata a giudicare dei fatti di casa propria.

Ho titolato questo pezzo la lente non basta per vari motivi.

Il primo è che, se gli avvocati con i molti accessi al sito, con i voti elettronici, con i commenti nelle aule giudiziari hanno dimostrato che il vento vuole e può effettivamente liberarsi, la maggioranza dei candidati non ha colto l’occasione che gli è stata offerta, aprendo il confronto.

La lente è passata sotto gli occhi dei colleghi avversari spesso anche con simpatia e con parole di stima per quella che è stata definita una trovata mediatica, ma non ha aperto gli occhi di chi doveva aprirli per primi.

Speravo che la risposta dei nostri contraddittori sarebbe stata l’invito ad un pubblico dibattito per verificare quali fossero le convergenze e le divergenze sui temi proposti, alcuni dei quali nuovi ed ancora allo studio del Parlamento, quale il progetto Berselli per la privatizzazione della professione di ufficiale giudiziario.

Invece la chiusura, quasi la paura che parlare di temi concreti nell’interesse di tutti gli avvocati potesse dare un qualche vantaggio elettorale a chi è entrato in campo per ottenere non una carica pubblica, ma un risultato nell’interesse di una professione che è la fonte di sostentamento della propria famiglia ed il futuro dei propri figli.

Ho ricevuto, quale avvocato, una email nella quale mi venivano comunicate le iniziative assunte per far fronte agli effetti dei mancati pagamenti da parte del Ministero della Giustizia delle parcelle per le difese di ufficio e per il patrocinio a spese dello Stato, che consistono sostanzialmente in un finanziamento a tasso agevolato all’avvocato al fine di evitargli di venire stritolato dagli strozzini a causa dei pubblici inadempimenti.

Ho letto anche le polemiche riferite a tale missiva che, sembra, siano sfociate nell’ennesima denuncia penale: ritengo che la questione su cui soffermarsi sia un’altra e molto più importante.

Limitare gli effetti dell’inadempimento dello Stato per l’avvocato è sicuramente positivo, ma la necessità di farlo preoccupa perché significa in primis che la proletarizzazione della professione ha raggiunto un livello tale che il compenso per il gratuito patrocinio o la difesa d’ufficio non è più un quid pluris per l’economia del professionista forense, ma uno strumento di sostentamento che trasforma l’avvocato in una sorta di dipendente del sistema, come lo era nei paesi sovietici e lo è tuttora nelle nazioni a libertà limitata.

Ciò che nei paesi ove l’avvocato conta socialmente si fa pro bono, in Italia diviene il sostentamento principale, tanto da costringere gli ordini professionali a stringere convenzioni bancarie per impedire che i propri iscritti finiscano nelle mani degli strozzini.

Non è solo un problema di carattere economico o un interesse corporativo, ma un fatto che interessa i diritti fondamentali, la libertà del difensore, il cui destino è condizionato dai provvedimenti di liquidazione delle parcelle da parte della Magistratura.

A questa prima preoccupante considerazione se ne aggiunge però un’altra: gli Ordini si preoccupano di lenire le conseguenze delle malattie, ma trascurano di affrontare la patologia, aggravandone così le conseguenze.

Perché la patologia è l’inerzia costante di fronte al fenomeno del degrado del ruolo del difensore, l’accettazione del sistema senza una reazione costante: se gli avvocati civilisti, che hanno una segretaria nei loro studi, non avessero accettato di fare i segretari ai magistrati in udienza, scrivendosi i verbali da soli, avrebbero probabilmente avuto questi ultimi quali alleati nel richiedere la presenza del cancelliere in udienza.

Se la lente non basta, se il dibattito fa paura, allora la scelta non può che essere tra il continuare a nascondere la testa sotto la sabbia o cercare di dare all’Avvocatura una nuova maggioranza coesa, per tentare una svolta nella continuità.

 

Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

 

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