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Assemblea Nazionale della Unione Nazionale Camere Civili

Si è tenuta a Velletri il 17 e 18 settembre, presso la sede del Tribunale, l’Assemblea Nazionale della Unione Nazionale Camere Civili. Il tema dibattuto di grande attualità per tutto il ceto forense è “Dall’avvocato generalista all’avvocato specialista”.
L’Assemblea è stata partecipata da circa 200 avvocati delegati dalle Camere Civili Territoriali oramai attive in quasi tutti i circondari di Tribunali d’Italia. L’evento è stato seguito anche via Streaming della Unione
www.unionenazionalecamerecivili.it , da moltissimi colleghi italiani, a riprova dell’interesse dell’avvocatura italiana delle dinamiche e ei progetti dell’Associazione Nazionale degli avvocati civilisti. La discussione sulla tematica di grande attualità è stata molto animata ed appassionatamente, ha fondato le basi, più o meno condivise, dell’avvocatura del futuro, attenzionata del regolamento in itinere del C.N.F. sulle specializzazioni.
Il Presidente dell’Unione Nazionale Camere Civili, avv. Renzo Menoni, in apertura dei lavori ha tenuto a sottolineare le difficoltà ed i tormenti della classe forense contemporanea. Nella relazione introduttiva, ha innazitutto precisato come, “l’assemblea Nazionale sia un momento essenziale per la vita dell’Associazione, il momento in cui s’incontrano, unitamente agli organi statuari, i presidenti ed i delegati delle Camere Civili territoriali, per riflettere, discutere e confrontarsi, sulla situazione dell’Avvocatura e della Giustizia e sulle problematiche endoassociative. Ha posto quindi l’accento sulla crescita a dismisura degli scritti agli Albi, citando “Troppi avvocati”, il titolo di un citatissimo (e poco letto) volume pubblicato nel primo dopoguerra (e quindi all’incirca un secolo fa) da Piero Calamandrei, il quale scriveva: “Questa elefantiasi patologica degli ordini forensi porta con sé, come naturale conseguenza la disoccupazione e il disagio economico della gran maggioranza di professionisti, e quindi, il progressivo abbassamento intellettuale e morale della professione, del quale la pubblica opinione, pur senza intenderne le cause, si rende conto con severità di giudizio”. E’ per questo che è stato detto che “il sovraffollamento è diventato uno dei canoni fissi dell’autorappresentazione dei professionisti italiani a partire dal primo dopoguerra, in concomitanza con le difficoltà occupazionali del periodo che si unirono all’aumento delle iscrizioni delle università e all’ingresso consistente dei figli della piccola borghesia nei ranghi delle professioni.
Di qui le richieste reiterate, a partire dagli anni del fascismo, di chiudere i ranghi limitando l’accesso alle facoltà universitarie o controllando le iscrizioni agli albi”. Il prof. Franco Cippriani, nel suo saggio “La professione di avvocato” del 1996 dopo aver ricordato che negli ultimi anni “che il numero dei professionisti legali italiani ha fatto registrare una vera e propria esplosione: essi erano 25.000 nel 1920 e 50.000 nel 1987, ma in quest’ultimo decennio sono aumentati a dismisura tanto che a fine 1995 gli iscritti negli albi forensi erano 83.990” ha però affermato che per capire se un simile numero di avvocati sia alto o basso non può altro che farsi riferimento a quanto accade all’estero e, dopo una disamina di tale situazione concludeva: “Così stando le cose, non sembra che gli avvocati siano, come da più parti sempre si sostiene, “troppi”: lo sono dal loro del loro punto di vista che il sogno degli avvocati è appunto quello di essere in pochi ma è da credere che non si possa consentire che gli avvocati operino in regime di oligopolio: del resto se gli avvocati, non certo i cittadini”. Ed è così che, come ha riferito l’avv. Menoni, con questa seriosa incoscienza, siamo arrivati ad oggi, anno di grazia 2010, in cui gli avvocati italiani sono arrivati allo strabiliante numero di circa 250.000.
Eppure così non può e non dovrebbe essere perché “l’età delle professioni” è stata vissuta e deve essere vissuta come sinonimo di modernità e non si può dimenticare che professionista deriva da “profitto”, che nel latino universitario, significava trasmettere “ex-cathedra”, sicchè è comune la radice di professore e di professionista e “professore e professione connotavano la manifestazione più alta della cultura, contrassegnata dalla separazione tra sapere teorico e conoscenza pratica e accompagnata dall’esercizio di funzioni di governo, di cui erano in possesso le università italiane dell’età moderna. Ora, nel “lungo andare” della nostra professione, bisogna recuperare le nostre radici e nel contempo riprogettare la nostra identità culturale ed effettuare un riposizionamento sociale. In tale ottica e in tale cammino si pone necessariamente il passaggio “Dall’avvocato generalista all’avvocato specialista”, filo conduttore di questa nostra Assemblea nazionale e specifico oggetto della prima sessione. Come noto la disciplina forense è contenuta nell’articolo 8 del progetto di riforma della legge professionale, in corso di esame da parte dell’Aula del Senato. Quello che sicuro però è che non possiamo più concederci il “lusso” di perdere tempo. Bisogna agire con determinazione ed immediatezza, vincendo le inevitabili resistenze che sempre fisiologicamente ci sono quando si cerca di innovare. Ne và però della stessa esistenza dell’Avvocatura e della salvaguardia della sua funzione sociale. Come è stato infatti autorevolmente scritto “se gli avvocati non sono competenti e non rispettano rigide-regole deontologiche non sono in grado di portare alcun servizio alla collettività, e non portando alcun servizio alla collettività, norme come l’art. 82 c.p.c., che prevedono l’assistenza tecnica come necessaria ed imprescindibile, non hanno più senso, soprattutto se si pensa al generale accrescimento di livello culturale della nostra moderna società. Se gli avvocati, al contrario, intendono rendere un servizio utile alla collettività e pretendono che norme come l’art. 82 c.p.c. restino in vigore e siano considerate intoccabili, allora hanno il dovere di garantire competenza e deontologia, quali strumenti professionali indispensabili” (G. Scarselli, La riforma degli esami per l’accesso alla professione forense (un’occasione mancata), in Rass. Forense, 2003, pag 494)”. Per una definitiva presa di posizione sul nuovo Ordinamento forense, tutto comunque, come è sembrato di comprendere dagli interventi della seconda sessione dei lavori ed in particolare dalle prese di posizione del presidente dell’O.U.A., Avv. De Tilla, e del Prof. Avv. Guido Alpa, presidente del C.N.F., dovrà essere rimandato al momento successivo al Congresso Nazionale forense di Genova di fine novembre prossimo.

 

Francesco Lodise *

Avvocato del Foro di Velletri



 

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