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I ritardi e le lungaggini giudiziarie

Nel mese di settembre un noto quotidiano assai combattivo, riportava una notizia di mala giustizia; ed a suffragio dello sconsolato commento riportava una serie di dati sui quali è opportuno riflettere. A giugno del 2008 i procedimenti civili pendenti nei tribunali assommavano a 4.285.000.000. La durata media del giudizio di primo grado è stimata in 960 giorni ed in 1.500 il tempo necessario ad avere una sentenza in appello.

Tali ritardi sono costati allo stato risarcimenti per 120.000.000 tra il 2002 ed il 2008.

Ad ulteriore nostro disdoro il giornale riportava dati comparativi di fonte europeo al 2006; le pendenze di primo grado erano di 3.687.965, in Germania 544.751, in Spagna 781.754, in Russia 480.000. Si può affermare che in un anno e mezzo (31/12/06 - 31/12/2008) vi è stato un aumento della giacenza 597.055 cause e si può concludere che la durata media della fase di merito è di circa 7 anni cui vanno aggiunti circa 3 anni per eventuale giudizio in Cassazione.

Al di là dell’evidenza dei numeri, situazione è nota a tutti gli addetti ai lavori che di questo parlano ormai mitridatizzati, come i mal vecchi delle donne al caffè o, se si preferisce, le mamme delle malattie esantematiche.

Anche un banale approfondimento pone però subito in evidenza alcune circostanze.

Il codice di procedura civile è stato riformato ormai, più e più volte negli ultimi 20 anni ed a lavarsi la coscienza nel 1999 è stata varata la “Grida della Gride” e cioè il novellato testo dell’art. 111 Cost..

Se i dati sono quelli, che abbiano citato; e sono quelli la legge non ha assicurato la ragionevole data del processo.

Ulteriore paradosso è la circolarità di una filosofia riformatrice della giustizia che, dopo aver affossato il Giudice Conciliatore, omettendo la semplice operazione di aggiornamento della competenza all’inflazione; si è poi dovuta reinventare il Giudice di Pace.

Ma l’arretrato ormai era massa critica; tant’è che neppure il pur ampio organico del GdP, e malgrado l’ausilio dei GOA e dei GOT; e valso a deflazionare i ruoli.

Si è certo tentata qualche strada alternativa, per far fronte almeno a quel fenomeno inflattivo della domanda di giustizia che sono le cause seriali e di massa.

La recente norma sulle class action però servirà forse ad altro, ma non certo a razionalizzare ed alleggerire la gestione delle liti.

È in gestazione poi la legge delegata sulle conciliazioni, ma non ci sembra, valutando la delega, che sia la scala per andare in paradiso. Intanto allo stato, e malgrado molti anni di vero e proprio marketing; le conciliazioni e gli arbitrati amministrati non sono decollati le conciliazioni obbligatorie o si sono rilevate inefficienti o, come nel caso del Corecom, hanno prodotto la sostanziale paralisi del sistema.

Che fare allora non potendosi sopprimere i diritti, né denegare giustizia, né renderla meccanica? (il grande sogno infranto dei positivisti) occorrerà ripensare l’intero sistema.

Occorre in ogni caso pensare al sistema giustizia non più in termini di potere, ma in termini di servizio, stante l’obbligo Costituzionale dello Stato di garantire con lo strumento della legge i livelli minimi dei servizi e tra questi in particolare la tutela dei diritti.

Ci sono due strade da percorrere l’una passa per la riforma della Costituzione, ma questo comporterebbe tempi non compatibili con “l’esistenza in vita”, o preferibilmente operare a Costituzione data.

Con questo diverso approccio si pone al centro della scena non più il processo con i suoi sacerdoti, ma il conflitto, o meglio i configgenti, cui lo Stato ed i suoi funzionari debbono offrire opportuna tutela per il tramite e di un processo dovuto o e di procedimenti dovuti.

In definitiva il processo quale noi lo conosciamo diventa una delle opzioni di una più ampia categoria ordinante che possiamo identificare nella tutela dei diritti e degli interessi.

In questa ottica viene in evidenza lo sviluppo di istituti già noti, quali l’arbitrato, i procedimenti collettivi, i procedimenti conciliativi, non più correlati però per la loro efficacia, alla efficacia della giurisdizione pubblica statale.

Vengono in evidenza nuovi ruoli per gli istituti di garanzia, quali il difensore civico, ed il garante del contribuente.

La differenza sostanziale è nel riportare però l’amministrazione di tali procedimenti non più a strutture calate dall’atto e di dubbi terzietà (non è ovviamente in discussione la correttezza del singolo arbitro conciliatore… quale persona fisica); il cittadino dovrà sentirsi attratto da un procedimento garantito, ma in un ambito in qualche modo noto e controllabile.

È una giustizia non solo di prossimità, ma di comunità; resa cioè nell’ambito della comunità preesistente di interessi, validata dall’art. 2 Cost.. È una giustizia radicata sul territorio, come già possibile alla luce degli artt. 116, 3 e 117, 2 Cost. anche alla luce dell’esperienza della Provincia di Trento sulla gestione del GdP.

La discussione è aperta.

 

Roberto Zazza*   

Presidente Forum delle Professioni

 

 

 

 

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