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Il carcere da cimitero dei vivi a cimitero dei suicidi

L'avv. Angiolo Marroni

“Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale” del Lazio è stato istituito con la Legge regionale 6 ottobre 2003 n. 31; eletto dal Consiglio regionale, gode di autonomia gestionale ed operativa. Istituito allo scopo di garantire ai detenuti e agli internati i diritti inviolabili dell’uomo, sanciti anche dalla Costituzione, il Garante assicura una presenza settimanale dei suoi operatori negli istituti di pena e può contare anche su un ufficio legale e su consulenti esterni. Nel 2004 venne eletto all’unanimità come Garante per la Regione Lazio l’Avv. Angiolo Marroni, il primo in Italia. L’avv. Marroni è un gentiluomo napoletano come non ce sono più, dalla battuta pronta e dai capelli candidi che non dimostra la sua età, e che può vantare un lungo e articolato curriculum vitae. Ci ha gentilmente concesso una lunga intervista. Prima domanda obbligata a proposito della recente ondata di suicidi nelle carceri italiane. Ben 22 suicidi dall’inizio del 2010, e 52 l’anno scorso. Un vero e proprio «massacro silenzioso», come ha commentato lo stesso Marroni, che conferma – ove mai ce ne fosse bisogno – l’ormai atavica disattenzione da parte dell’opinione pubblica (e delle forze politiche e sociali, eccezion fatta per Pannella e i suoi) su questo tema.

Forse perché resiste l’idea per cui il carcere debba essere una sorta di “cimitero dei vivi”? Non è dato saperlo: ma attualmente le carceri si stanno trasformando in cimiteri per i suicidi, che «derivano da tanti fattori che sono personali, psicologici e anche ambientali … spesso collegati all’allontanamento della famiglia, alla caduta degli affetti, all’ingresso in una struttura carceraria che per i c.d. “nuovi giunti” … è drammatico, anzi tragico. E poi anche dal fatto che si è in un sistema che non dà subito giustizia, in una struttura che con l’affollamento crea condizioni di vita ancora più pesanti e difficili, visto che in una cella dove ci possono stare due detenuti ce ne stanno cinque o sei …». E sì, l’opinione pubblica a riguardo «è distratta, anche se adesso a livello politico c’è la consapevolezza che bisogna fare qualcosa».

Parliamo dei casi di Stefano Cucchi e della neobrigatista Diana Blefari Melazzi, morta suicida a Rebibbia, e delle polemiche che sono seguite riguardo la carenza di assistenza psicologica in carcere. Il Garante ci guarda benevolo (gli avranno fatto la stessa domanda cento volte) e dà - con distaccata rassegnazione - la stessa monotona risposta, ovvero che «in carcere c’è una carenza enorme di psicologi,di educatori, di mediatori culturali e anche di polizia penitenziaria». Anche «l’osservazione a vista (24 ore su 24) è difficile da realizzarsi» per i vuoti d’organico, ulteriormente considerato che «per ogni richiesta di misura alternativa alla detenzione c’è la necessità di una istruttoria formale, [col risultato che, NdR] spesso educatori e psicologi sono impegnati nelle commissioni che giudicano i detenuti».

Nel frattempo la popolazione carceraria continua a crescere. Al 26 aprile scorso, secondo Marroni, siamo arrivati a 67.440 detenuti, a fronte di una capienza di circa 43.000 soggetti. E l’affollamento nel Lazio è pure meno drammatico rispetto ad altre regioni italiane, e non solo Campania e Sicilia, ma anche Lombardia ed Emilia, con tutte le conseguenze del caso in termini di suicidi, rivolte e fatica per gli agenti di polizia penitenziaria. Non resistiamo alla tentazione di chiedere al nostro interlocutore, in virtù della sua lunga militanza politica a sinistra, perché anche la sua parte politica pare essere diventata alquanto disattenta verso queste problematiche, a cui dovrebbe essere più sensibile rispetto alla destra.

Marroni non evita la domanda: parte dalla constatazione della forte di domanda di sicurezza dei cittadini, e sottolinea che la stessa, a suo avviso, viene alimentata artificiosamente dai media «e soprattutto dalle televisioni». «C’è una insicurezza nei cittadini, diffusa, superiore a quella che dovrebbero procurare i dati effettivi … e la politica tende a rispondere semplicisticamente con il carcere … come se poi la pena dovesse essere eterna, senza immaginare che, se il carcere si affolla, diventa criminogeno …». E la sinistra «non è fuori da questa logica», anche per la forte presenza nelle sue fila di magistrati («i magistrati sono magistrati … quindi un po’ più sensibili all’idea della pena che all’idea della risocializzazione»). Ed a proposito dei delitti e delle pene, Marroni si dice anche contrario all’ergastolo in sé e per sé (ma non a pene severe, se del caso anche tramutabili nel terribile “fine pena mai”); la pena a vita sarebbe scontata in Italia da circa un migliaio di persone (anche se il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla semilibertà dopo aver scontato vent’anni). Alla fine dell’intervista, dato che «bisogna guardare la persona e non al reato commesso», confida che il suo miglio amico è proprio un ergastolano.

E boccia senza appello anche il famigerato art. “41bis” dell’ordinamento penitenziario («un modo di scontare la pena veramente inumano»), che prevede la sospensione del normale trattamento per detenuti ed internati per reati gravi e per i mafiosi, con l’introduzione di misure particolarmente rigide (quali la possibilità di avere un solo colloquio al mese o il visto di censura sulla corrispondenza). Misure – sottolinea Marroni – che nacquero all’inizio come straordinarie e temporanee, e sono state nel frattempo censurate anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E cosa ne pensa Marroni del nuovo piano carceri presentato ad aprile (con la nomina del capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, a commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, con una dotazione di 700 milioni di euro)? Il Garante storce la bocca: «al momento siamo fermi … dobbiamo costruire queste carceri, bisogna trovare i luoghi … fare le gare, e poi si presuppone che ci sia trasparenza nelle gare … e già c’è stato qualche piccolo incidente di percorso … ». E il “supercommissario” (virgolettato di chi scrive) Ionta deve già gestire una struttura complessa come il D.A.P., che l’intervistato definisce come «non omogenea, con tanti contratti, tante competenze, tanti ruoli … » e anzi dove non manca una vera e propria «vischiosità interna».

Inoltre, per fare un carcere in Italia ci vogliono dagli otto ai quindici anni, e nel frattempo i detenuti crescono, anche se ci sono «strutture penitenziarie finite che potrebbero ospitare detenuti e che non li ospitano perché non c’è personale». Nel Lazio, ad esempio c’è un carcere pronto, ma non utilizzato, a Rieti. E il personale non solo è carente ma è persino mal distribuito, se ci sono cinquecento agenti di polizia penitenziaria che svolgono le mansioni di baristi invece di sorvegliare i detenuti (avete capito bene: e non possono prendere neanche la mancia).

Insomma il punto della questione è che «noi abbiamo una legislazione che produce detenzione … il problema dei problemi è la riforma del codice penale … occorre una modifica per ridurre le pene carcerarie e passare a pene amministrative … perché la pena carceraria deve essere quella estrema», dunque più pene alternative al carcere, che – a giudizio di Marroni - possono essere egualmente dissuasive. Ma per una riforma tale al momento non «c’è il clima politico adatto» specie dalle parti della maggioranza che sostiene il Governo.

Infine, Marroni auspica che venga creato il Garante nazionale per i diritti dei detenuti, «il Ministro Alfano disse che la cosa lo incuriosiva, ma non è andato oltre la curiosità». Noi speriamo che si incuriosisca, e che tenga presente l’avv. Marroni come possibile candidato. Al suo amico ergastolano non dispiacerebbe di certo …

 

Rodolfo Capozzi * Avvocato del Foro di Roma

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