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La strana cattura del Dottor Radovan Karadzic

L’aveva già preso il fascinoso Richard Gere, seppur sul grande schermo, nel film “The Hunting Party” (2007). Invece alla fine l’hanno arrestato davvero il Dr. Radovan Karadžić, criminale di guerra super ricercato, già autoproclamatosi leaderdella Repubblica Srpska, la repubblica serba di Bosnia, incriminato dal Tribunale penale internazionale per i crimini commessi tra il 1992 e il 1995 nella ex-Jugoslavia.

Ma al giorno d’oggi la realtà supera sempre la fantasia. “The Hunting Party” è ispirato a un articolo pubblicato nell’ottobre del 2000 su “Esquire” , intitolato “What I Did On My Summer Vacation” (ovvero“che cosa ho fatto quest’estate”) scritto da Scott Anderson. Già inviato speciale in Bosnia, nel gustoso articolo il reporter racconta di essere tornato nella ex-Jugoslavia dopo la guerra, di aver incontrato quattro colleghi con i quali, dopo una serata a base di fiumi di birra e di ricordi, decide di dare la caccia proprio a Karadžić. .

Il risultato sorprendente e grottesco sarebbe che cinque giornalisti riescono, quasi per gioco, ed in pochi giorni a risalire alle tracce di un feroce ed inafferrabile supercriminale, latitante da anni.

Anche nel film di cui sopra "La Volpe".(questo il soprannome dato al personaggio che si riferisce chiaramente a Karadžić) verrà catturato proprio da un gruppo di scalcinati giornalisti, tra cui l’ingrigito Gere, dopo una serie di tragicomiche avventure.

Nella realtà le cose sono andate un po’ diversamente: il 21 luglio scorso le autorità serbe hanno annunciato l’arresto di Karadžić, che sarebbe stato localizzato e bloccato mentre viaggiava tranquillamente su un autobus a Belgrado.

L’ex leader serbo-bosniaco, ricercato dal 1995, avrebbe lavorato come medico sotto falsa identità in un ambulatorio privato alla periferia dell’ex capitale jugoslava. La foto che raffigura Karadžić con barba e capelli lunghi da guru fa il giro del mondo.

L’annuncio sorprende tutti, ma lascia perplessi molti. La Serbia vuole entrare nell’Unione europea, e la latitanza di Karadžić costituisce un’imbarazzante ostacolo. Insomma “la Volpe” viene catturata proprio al momento giusto….

Ma la storia personale di Karadžić si intreccia drammaticamente con la storia recente della ex-Jugoslavia.

La dissoluzione della Repubblica federativa socialista di Jugoslavia (formata da Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Slovenia, Macedonia e Montenegro, più le regioni autonome della Vojvodina e del Kosovo) inizia, a giudizio di molti, ben prima della dichiarazione di indipendenza della Croazia e della Slovenia avvenuta nel dicembre del 1990, già dalla fine degli anni’ 80 con la morte di Tito e con l’ascesa al potere in Serbia di Slobodan Milošević.

I serbi – popolo maggioritario della federazione jugoslava - vogliono trasformare lo stato federale jugoslavo, faticosamente tenuto in piedi dal carisma di Tito, in uno stato nazionale serbo su base etnica.

La dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia dà inizio a un conflitto che infiammerà la ex-Jugoslavia per dieci anni, che inizia in Slovenia e si sposta rapidamente in Croazia, culminando là con il bombardamento del palazzo del discusso Presidente croato Tudjman a Zagabria.

Radovan Karadžić dichiara il 14 ottobre del 1991 “abbiamo il modo per impedire che la Bosnia Erzegovina segua la strada della Slovenia e della Croazia”: in quel momento non riveste alcuna carica pubblica, ed è praticamente ancora un illustre sconosciuto.

Chi è Karadžić? Nasce il 19 giugno del 1945 nel villaggio di Petnjica, sulla montagna montenegrina di Durmitor. Arriva quindicenne a Sarajevo, si laurea in medicina, specializzandosi in psichiatria, diviene famoso come psicologo della squadra di calcio Sarajevo.

Scrive poesie, si sposa con Ljiljana Zelen, anche lei psichiatra, hanno due figli. All’inizio dell’estate del 1990 fonda l’S.d.s., Partito democratico serbo che – dopo qualche incertezza del suo stesso fondatore – si proclama un movimento nazionalista.

Nel 1992 Karadžić spiega che: “La Bosnia-Erzegovina non esiste più” , e proclama la Repubblica serba della Bosnia Erzegovina che diventerà in seguito la “Republika Srpska” . senza altri aggettivi, con un proprio esercito comandato da Ratko Mladić, altro futuro criminale di guerra tuttora latitante.

L’Unione europea impone la celebrazione di un referendum in Bosnia per decidere sull’indipendenza da Belgrado (fortemente osteggiata da Karadžić e dai suoi), consultazione alla quale deve partecipare almeno il 50% degli aventi diritto. Per essere ratificata l’indipendenza deve, inoltre, avere il suffragio favorevole della maggioranza di almeno due terzi degli voti validi.

Nonostante il violento boicottaggio della consultazione da parte di Karadžić, che condivide il progetto della “Grande Serbia” con Milošević, il referendum si svolge fra il 29 febbraio e il 1° marzo 1992 e segna la vittoria netta degli indipendentisti.

Il 3 marzo successivo il governo della Bosnia-Erzegovina proclama l’indipendenza. Iniziano subito i primi massacri di croati bosniaci e musulmano bosniaci, tra cui si distinguono i corpi paramilitari quali le “Tigri” di Željko Ražnjatović meglio conosciuto come “Arkan” .

In aprile inizia la battaglia di Sarajevo (che si trasformerà in un assedio). La prima vittima ufficiale è Suava Dilberović studentessa di Dubrovnik raggiunta sul Ponte di Vrbanja (che oggi porta il suo nome) da spari provenienti dalla sede dell’S.d.s. presso il locale “Holiday Inn” .

A maggio la Repubblica legittima della Bosnia-Erzegovina chiede l’intervento internazionale contro l’aggressione serba, scoppia la guerra che vede contrapporsi i bosniaci non serbi da una parte e l’Armata federale jugoslava e i serbo-bosniaci dall’altra, una guerra complessa scoppiata non a caso nei Balcani, che, come avrebbe detto una volta Winston Churchill “generano più storia di quanta ne riescano a consumare”..

Alcuni episodi della guerra, tra cui le c.d. operazioni di “pulizia etnica”, entrano nella memoria collettiva.

Il 5 febbraio 1994 si consuma la prima strage al mercato di Sarajevo per mano dei serbi: 68 morti e 197 feriti, a causa di una granata da 120 mm lanciata sulla piazza del “Markale”; la città alla fine sarà assediata per più di mille giorni (più di Leningrado, che deteneva il primato del secolo).

A luglio del 1995 si consuma la strage dell’enclave di Srebenica (dichiarata “zona protetta” dall’O.N.U.): 8000 persone, di età comprese fra 12 e 77 anni, vengono uccise e ammassate in fosse comuni.

Mladić dopo aver separato gli uomini (compresi gli adolescenti sopra i dodici anni) dalle donne e dai bambini, sistema i primi nel campo di calcio di Bratunac, per poi procedere al massacro più grande dai tempi del secondo conflitto mondiale. La Corte internazionale di giustizia dell’Aja, supremo organo giudiziario dell’O.N.U.,nel marzo del 2007 lo definisce senza mezzi termini “genocidio” .

Nel maggio del 1993, il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. istituisce un “Tribunale per la punizione degli individui responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio della ex Jugoslavia a partire dal 1991”, insieme allo Statuto che prevede l’elezione di 11 giudici.

Presidente del Tribunale viene eletto l’italiano Antonio Cassese (fratello del più noto Sabino), docente di diritto internazionale all’Università degli Studi di Firenze, che ricorderà successivamente: “quando ho prestato giuramento a L’Aja il 17 novembre del 1993, eravamo undici giudici e un pezzo di carta, cioè lo Statuto; non c’era nulla” .

Ma poi il Tribunale si mette a lavorare, seppur tra mille difficoltà. Nel luglio del 1995 Karadžić e Mladić vengono già incriminati per l’assedio di Sarajevo e il genocidio di Srebrenica, per loro si spiccano ordini di cattura internazionali. “Amnesty International” ha lanciato un appello perché le Nazioni Unite rivedano la scadenza imposta al Tribunale di terminare i suoi lavori entro il 2010, troppo poco per completare i 46 procedimenti ancora in corso (considerato anche il fatto che Mladić è ancora “latitante”) [ Vedi riquadro al centro con intervista ad Amnesty International, N.d.R.]. .

L’atto di accusa finale riveduto e corretto (c.d. “indictment” ) contro Karadžić risale al 31 maggio 2000, e contiene capi di imputazione che non avrebbero fatto sfigurare l’ex medico della Sarajevo neanche al processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti, quali genocidio, complicità in genocidio, sterminio, omicidio, omicidio premeditato, persecuzione, deportazione, atti inumani, terrore contro i civili, presa di ostaggi e altri crimini. Atti che costituiscono violazioni della Convenzione di Ginevra, violazioni delle leggi di guerra, crimini di guerra, crimini contro l’umanità.

In particolare, Karadžić deve rispondere per l’assedio di Sarajevo (tra l’aprile 1992 e novembre del 1995): i bombardamenti indiscriminati sulla città causarono migliaia vittime tra i civili.

Inoltre – e soprattutto – Karadžić deve dare conto degli assassini di massa commessi nell’area intorno a Srebrenica per “le varie azioni tese a ridurre significativamente le popolazioni bosniaco-musulmane, bosniaco-croate e di altre popolazioni non serbe dell’area intorno” come si legge testualmente nell’indicamente firmato da Carla Del Ponte, allora Procuratore presso il Tribunale per i crimini della ex-Jugoslavia.

Nel primo interrogatorio nell’udienza preliminare celebrata davanti al Tribunale internazionale che lo sta giudicando, lo scorso 31 luglio, Karadžić si presenta senza barba da santone e con i capelli tagliati, in completo scuro. Ha l’aria un po’ depressa e il viso emaciato.

Ma è polemico e combattivo. Chiede ed ottiene di difendersi da solo, rinunciando all’avvocato d’ufficio. Chiede che l’udienza sia pubblica. Afferma (pare con un ghigno) di aver vissuto ufficiosamente sempre a Belgrado. Fa chiamate di correo. Sostiene che gli venne garantita l’impunità nel 1996 da parte del plenipotenziario per gli USA Richard Holbrooke, in cambio del suo ritiro dalla scena politica (Holbrooke negherà decisamente). Ancora, protesta per il suo arresto parlando di “rapimento” e per le irregolarità connesse allo stesso processo in cui è giudicato. Rassicura la Corte sulla propria salute.

Tutte le sue obiezioni vengono cortesemente rigettate. Le donne di Srebrenica hanno seguito in collegamento televisivo l’udienza. Il processo continua.

 

Rodolfo Capozzi

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