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Le professionalità da rivalutare

Sono ormai quasi due anni che svolgo le funzioni di Giudice di Pace e diciotto che esercito la professione di avvocato.

Penso che sia ora che tutti gli operatori del diritto, dai magistrati ai colleghi avvocati, la classe politica ed anche il semplice cittadino, conoscano le gravi situazioni di ingiustizia che giornalmente vengono poste in essere nei confronti di coloro che si rivolgono ai Giudici di Pace chiedendo invece giustizia.

Sgomberiamo subito il campo da eventuali incomprensioni o fraintendimenti: per ingiustizia non intendo quella che normalmente viene indicata dal normale cittadino nel caso in cui perde una causa, bensì quella istituzionale che scaturisce direttamente dall’applicazione di norme di legge che non garantiscono il corretto funzionamento della funzione giurisdizionale svolta dai Giudici di Pace.

Ma veniamo al punto.

La figura del Giudice di Pace è stata istituita con legge dello Stato nell’ormai lontano 1991 e da allora, con varie vicissitudini, sono state più volte modificate funzioni, competenze e poteri. Oggi abbiamo una figura di giudice «onorario» cui è stata delegata una duplice funzione: quella di giudice di «equità» per le controversie con valore fino a 2.000.000 di vecchie lire e quella giurisdizionale vera e propria per le controversie con valore compreso tra 2.000.000 e 5.000.000 di vecchie lire e per alcune materie di competenza esclusiva, con il conseguente dovere, in questi ultimi casi, di giudicare secondo diritto.

Per il reclutamento dei Giudici di Pace il legislatore ha preferito un criterio misto: avvocati e semplici cittadini con la laurea in giurisprudenza.

Vediamo quindi in pratica quali sono state le conseguenze di tale scelta politica.

Un cittadino che si rivolge al Giudice di Pace per ottenere giustizia nei casi in cui è prevista una decisione cosiddetta «di diritto» deve nominare un avvocato per la difesa, e il Giudice che deve decidere è tenuto a conoscere ed applicare sia il Codice di rito che le leggi di riferimento al caso specifico, ma troppo spesso accade che anziani Giudici di Pace, con una laurea in giurisprudenza conseguita magari 30 o 40 anni fa, non conoscono il diritto processuale.

Quando poi il Giudice di Pace è chiamato a decidere secondo equità accade che al cittadino che si presenta in giudizio personalmente gli vengono contestate preclusioni e decadenze procedurali che non è tenuto a conoscere e magari perde la causa per questo motivo.

Nel caso ad esempio delle impugnative dei verbali di accertamento per violazione del Codice della Strada non è ammissibile applicare al processo il principio processuale delle eccezioni di nullità del verbale non rilevabili d’ufficio dopo aver permesso la difesa personale e non tecnica.

Penso che se la scelta politica è quella di deflazionare il piccolo contenzioso sottraendolo alla competenza del Tribunale, magari aumentando le attuali competenze per valore, è indispensabile rivalutare il ruolo e la professionalità degli avvocati o permettendo un maggior accesso alla funzione di Giudice di Pace, eliminando l’incompatibilità nel circondario del Tribunale (che obiettivamente non ha alcun senso se resta l’incompatibilità specifica sul singolo caso), oppure regolando l’inquadramento definitivo dei Giudici di Pace con funzioni giurisdizionali speciali ed una disciplina dello stato giuridico che permetta un’adeguata tutela previdenziale e un’adeguata retribuzione.

A me sembra che oggi la magistratura togata e lo stesso Ministero di Grazia e Giustizia vogliano, per così dire, «la botte piena e la moglie ubriaca». E i cittadini?

Quale giustizia?

 

Alfonso Colarusso

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