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La fine dell'anarchia informativa

La fine dell'anarchia informativa.

 

Il pericolo per la libera e completa informazione, il vulnus al diritto di cronaca, impedendo ai giornali, notiziari new media, di dare notizie sulle inchieste giudiziarie fino all’udienza preliminare (un periodo che in Italia va dai 3 ai 6 anni e qualche volta sino a 10 anni). Le norme proposte violano il diritto fondamentale dei cittadini a conoscere e sapere, cioè ad essere informati. Il cittadino ha il diritto di sapere e noi (la stampa) il dovere di informare. I giornalisti esercitano una funzione non comprimibile da atti di censura, non tolleriamo alcun bavaglio, questa la denuncia formulata nel testo integrale concordato dai direttori delle maggiori testate italiane nell’incontro promosso dalla Federazione della stampa italiana.

Non essendo capaci di offrire un prodotto vendibile, che possa suscitare all’acquisto il lettore, che sia competitivo sul mercato dei media, ricorrono all’illegale pubblicazione di tanta spazzatura ed ai sussidi di Stato. Si, l’editoria italiana è sovvenzionata con i soldi dei cittadini, una vergognosa distorsione del mercato e della vita democratica. Quelli che contrastano il ddl sulle intercettazioni hanno riscoperto tutta la fraseologia delle proteste di piazza.

Inoltre, tra coloro che si dichiarano addetti ai lavori nel settore della “Giustizia” si registra una genetica incapacità, scritta nel genoma culturale, ad affrontare i problemi con un approccio scientifico; assenza di conoscenze sulla teoria dei sistemi, sulle discipline organizzative, sui macrofenomeni, sullo studio degli insiemi. E’ ovvio che anche il problema “Giustizia”, va analizzato come Sistema Giustizia, essendo interconnesse le variabili che lo compongono; il resto è propaganda.

Un metodo sistemico, un’ottica di massimizzazione delle risorse (materiali e umane), compatibile con una struttura organizzativa della amministrazione delle Giustizia di tipo scientifico, per l’applicazione concreta dei principi e delle norme da sottoporre a continue revisioni ed aggiustamenti in un processo di feedback, altrimenti si può sostenere tutto e il contrario di tutto.

Purtroppo assistiamo increduli alla ennesima tirannia dell’informazione, una vera truffa informativa per interessi specifici di editori, giornalisti e Magistrati depredando i cittadini della verità, indipendentemente dalla valenza del provvedimento in discussione.

Indignazioni infondate, accuse false, difese di vittime inesistenti, prediche surreali, dichiarazioni avventate questo è quanto ha prodotto il ddl sulle intercettazioni.

Difendere la libertà di stampa, no al bavaglio, Montezemolo sta con gli editori; piazza, giornali, web (popolo viola) chiedono aiuto all’estero, il sottosegretario alla giustizia USA Lanny Breuer, non conosce i provvedimenti legislativi in discussione, però è contrario; il dirittodovere di informare, l’essenza stessa della democrazia; P.M. diventeranno servi dell’esecutivo; senza intercettazioni impunità per la mafia. Va in onda tutto il verbo barricadiero, una vuota retorica della protesta, un mix tra sindacalismo e furiose disapprovazioni, alle quali ovviamente si sono associati i soliti magistrati dalla denuncia facile, dal sapore di bruciato per il pericolo della democrazia e del bene comune.

Ma sorge un sospetto.

L’interrogativo è inquietante; perché profondi conoscitori del diritto, della comunità organizzata, della amministrazione della Giustizia si sono lanciati nel guinnes delle ovvietà?

Tra le voci più note, a parte i soliti showmagistrate, figurano ex Presidenti della Corte Costituzionale, Onida, Capotosti, Zagrebelsky, professori universitari del calibro di Zanon, Frosoni, Rodotà (padre della privacy).

Perché questi giuristi di alto lignaggio non ci informano sull’attuale normativa che già prevede che il procedimento delle indagini preliminari non può non essere sottoposto ad un rigoroso regime di riservatezza, giustificata dalla necessità di impedire diffusioni di notizie che possano pregiudicare la genuinità e l’efficacia del lavoro di indagine ed anche nell’interesse della persona coinvolta.

È scritto nei trattati universitari: il divieto di divulgazione incide sul diritto di cronaca e d’informazione e trova la sua ragione d’essere nella salvaguardia degli interessi che si delineano nella fase del procedimento per le indagini preliminari.

Tende, infatti, non solo a scoraggiare il pericolo che una prematura divulgazione intralci o comprometta il lavoro della polizia giudiziaria e dell’ufficio del P.M., ma a tutelare la riservatezza della persona sottoposta alle indagini e dell’offeso del reato, proteggendoli da sommari giudizi di responsabilità.

La riservatezza tutela l’investigazione ed opera fino a quando l’indagato non possa avere conoscenza degli atti (infatti non dovrebbe sapere che su di lui è in corso un’indagine) e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari (art. 329 c.p.). Il divieto di pubblicazione riguarda anche gli atti non più coperti dal segreto e si estende a quegli atti d’indagine rimasti nel fascicolo del P.M., che non siano stati utilizzati per le contestazioni ed ha vigore sino alla pronuncia della sentenza di secondo grado. Il contenuto degli atti coperti dal segreto non possono essere pubblicati, neppure in forma parziale o su riassunto con il mezzo della stampa o con un altro mezzo di diffusione. L’unico che sembra si sia distinto, per aver affrontato il problema con approccio tecnico (come è), è il Prof. Barbera.

Sostiene Barbera inutile lamentarsi del bavaglio, il problema degli abusi esiste e va affrontato, come pure delle intercettazioni a strascico, fatte non per provare un reato, ma per vedere se salta fuori un reato. Nessuno è mai stato punito per violazione del segreto istruttorio, eppure la pubblicazione di atti coperti dal segreto investigativo è già sanzionata dall’art. 684 del cod. penale (il c.d. codice Rocco) e parlare di fascismo e di lesione della Costituzione sembra veramente avventato.

Sottoscriviamo ciò che ha detto il Prof. Barbera e cancelliamo quelle affermazioni forti che hanno imbrattato la carta stampata, ingannando il lettore per l’autorevolezza del dichiarante. Agli illustri commentatori del ddl diciamo che avete contribuito a confondere l’utilizzatore finale.

Le norme sulle intercettazioni primariamente devono essere uno strumento per il Magistrato che deve perseguire i reati nel migliore dei modi ed “ovviamente” utilizzare il suo potere in modo lecito, senza improprie discriminazioni, per l’accertamento della verità possibile (è scritto su tutti i manuali, ma poi il principio va applicato in concreto e l’uomo è debole). Poi se è giusto e possibile avverrà la pubblicazione.

 

 

Carlo Priolo* Avvocato del Foro di Roma

 

 

  

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