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Finale di partita è l'atto unico del drammaturgo irlandese Samuel Beckett che meglio rappresenta il teatro dell'assurdo. Il regista Massimo Castri la propone al pubblico, affrontando per la prima volta la messa in scena di un'opera di Beckett, attratto dall'immediatezza nel rappresentare l'impossibilità umana ad essere felici, l'incapacità di agire spinti da un sogno da realizzare, che aveva trovato solo nelle Tre sorelle di Cechov.
Il pessimo giocatore di scacchi, che continua una partita già persa, come non farebbe mai uno scacchista esperto, è Hamm, Vittorio Franceschi, cieco e costretto su una sedia a rotelle, che interagisce con il suo factotum Clov, Milutin Dapcevic, che al contrario non può mai sedersi.
Sullo sfondo due bidoni della spazzatura che ospitano i genitori senza gambe, Nell e Nagg.
L'interminabile partita si gioca tra recriminazioni e accuse, con la minaccia di andarsene di Clov, che non la attuerà, e la dipendenza reciproca che taglia entrambi fuori da qualsiasi prospettiva di futuro.
Tutto è congelato in un presente immobile e ripetitivo, in un mondo senza altra dimensione che lo spazio chiuso e ossessivo nel quale l'esterno, mare, cielo e nuvole, viene solo evocato, suggerendo un paesaggio post atomico.
Il passato è alle spalle, nella spazzatura, incapace di muoversi. La partita continua, in un'ostinazione tragica che diventa comica ottusità.
Clotilde Spadafora
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