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Stesse pistole...

Montanelli, Casalegno: parafrasando un noto slogan si potrebbe dire stesse pistole, stesse responsabilità. Non è a caso che si colpiscono i giornalisti più in vista del momento: con loro si vuole colpire, nella differenza delle loro idee politiche, non tanto un uomo o un partito, quanto la libertà di pensare e sopratutto di esprimere le idee in un modo civile e ragionato, al di là della demagogia degli slogan e delle formule preconcepite. E insieme a loro si colpiscono i politici che esprimono delle idee a cui credono sinceramente, al di là della nostra personale opinione su d esse, come positive, e i dirigenti industriali che con l’iniziativa privata impedisocno la paralisi produttiva dello Stato. Potere esecutivo, potere produttivo e informazione, raccordo tra i due poteri ed il popolo, sono gli obiettivi dei terroristi per sovvertire definitivamente lo Stato ed uccidere quel residuo di libertà che é il nemico più duro da combattere. Ma, dicevamo, stesse pistole, stesse responsabilità. Come si é arrivati a tal punto? La risposta sta nella cronaca stessa del terrorismo. I primi obiettivi sono stati gli uomini di “destra”, i cosiddetti “fascisti”, che appunto perché tali, si sono potuti compire senza che insorgesse lo sdegno e senza che la reazione effettiva andasse al di là dei messaggi di condoglianze o poco più. I fratelli Mattei, Zicchieri, Pedenovi non sono stati nient’altro che il banco di prova di forze terroristiche ancora deboli che si dovevano perciò “limitare” ad obiettivi facili perché sprovvisti della necessaria, effettiva tutela da parte di uno stato democratico che, pur accettandoli nella legge, li considera, in fondo, fuori della stessa.

Ora le “esercitazioni” sono finite, gli obiettivi possono essere anche gli uomini del sistema: esso non ha più la forza di reagire o, comunque, é diventato troppo debole per farlo.

Lo stato ha abdicato all’antistato e la semplice collocazione geografica del terrorismo politico ne é la dimostrazione.

Vi sono alcune regioni in cui i cittadini, per un deplorevole fenomeno locale, sono protetti, oltre che dalla legge, da una specie di organismo giuridico avente una forza che, l’esperienza storica insegna, ha resistito alle repressioni sia dello stato monarchico, sia di quello fascista, oltre ovviamente a quello repubblicano, quale é,ad esempio, la cosiddetta mafia: bene, in queste zone, per una non strana coincidenza, vi sono altre forme di criminalità, ma il terrorismo politico non riesce a prendere piede.

E in queste regioni non mancano certo uomini di valore: solo che lì non si  é permesso che quell’ordine giuridico venisse turbato. Uno stato illegale, sostituendosi a quello legittimo ha perciò dimostrato che la legge si può far rispettare.

E allora perché si é arrivati a tanto? Perché si é aspettato che i criminali siano diventati forti per varare i cosiddetti piani antiterrorismo? Ma lo stato democratico aveva già da  tempo ceduto il passo all’antistato demagogico: e ora, se é troppo tardi per tornare facilmente sulla legittima via, le responsabilità sono ben chiare.

 

Romolo Reboa

 

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