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Assegnazione della dimora comune

http://reboa.net/images/stories/dimora_thumb_medium170_114.jpgIl caso è di quelli che fanno scrivere fiumi di parole sui giornali cosidetti di opinione. Tutti dicono la loro, ed è un susseguirsi di commenti sui "blog" che citano la sentenza come un caso nel quale finalmente la "donna" non ha avuto l'assegnazione esclusiva della casa familiare, da considerarsi quindi una vittoria, quasi una testimonianza di Giustizia. Al di là dell'interesse mediatico, cerchiamo ora di approfondire il dettato della Legge in materia e vediamo quale sia il principio cardine considerato dalla dottrina come "stella polare" nel difficilissimo compito di dover interpretare la norma in materia di famiglia, quando alla volontà delle parti, che non trova un accordo, si "deve" sostituire quella del Giudice per riportare un punto fermo nel contrasto tra due volontà. Come è agevole comprendere dalla lettera dell'art. 155 codice civile la riforma dell'affido condiviso ha introdotto un principio diverso da quello precedente, mettendo il minore al centro dell'attenzione del Giudice e stabilendo che : "anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi". Al successivo art. 155 quater viene poi indicata la disciplina legale della casa familiare che : "il godimento della casa familiare è atttribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli". Questi sono dunque i principi ai quali rifarsi nell'esaminare il caso triestino ed a ben vedere non è corretto il dato che si apprende dalla stampa per la quale risulta che la casa sia stata "assegnata alla minore", bensì la sentenza del Tribunale dei Minorenni del luogo ha disposto delle "modalità di visita e frequentazione" assolutamente sui generis e tali da destare più di una perplessità, disponendo d'ufficio che i due genitori, comproprietari dell'immobile "si alternino nella funzione di collocatario ogni lunedì mattina con l'eventuale supporto di altri familiari". Ovviamente per reclamare un provvedimento del genere esistono rimedi formali, quello che interessa in questa sede è approfondire un dato che sembra essere sfuggito al Giudice dei Minorenni di Trieste. La centralità del Diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori è stata disposta per garantire un suo sereno sviluppo mettendo il figlio al riparo il più possibile dalle conseguenze destabilizzanti della "cessazione" della relazione affettiva dei suoi genitori. La cessazione della relazione affettiva,con i suoi corollari di rabbia, rancore delusione e la necessità per entrambi gli adulti di "ritrovare una capacità autonoma di progettazione affettiva", costituiscono gli ostacoli naturali alla condivisione di un progetto separativo, ed il negarli d'ufficio non ne diminuisce il portato di negatività. In altre parole ben pochi sono i partner che "escono" da una storia relazionale condividendo con l'altro ritmi, capacità di immaginare il futuro come una opportunità ed una generale disponibilità ad organizzare con l'altro, nell'immediato, un progetto, anche solo genitoriale, che sia condiviso. Ben consapevole di questa realtà il nostro legislatore ha deciso di assicurare "il diritto" al figlio minore "di mantenere rapporti equilibrati e continuativi" con tutti e due i genitori, ma poi arrivando a legiferare in merito alla casa "familiare", e quindi esprimendo un concetto che si attaglierebbe sia alle coppie sposate che a quelle di fatto, ha disposto che questa la casa sia "attribuita in godimento" tenendo conto dell'interesse del figlio. Ed è usando questa espressione, che nella sua ampiezza consente correttamente al giudicante di avere la massima libertà nell'applicarla al caso concreto, che il Tribunale per i Minorenni di Trieste si è lasciato andare ad una "creatività" che non ha precedenti, e che purtroppo rischia di essere lesiva proprio dell'interesse della piccola di 4 anni. Il dibattito dottrinario in merito al "destino" della casa coniugale (ora familiare) è un dibattito che ha sondato ed approfondito, in oltre vent'anni, ogni aspetto della contrapposizione dei due interessi diversi di mamma e di papà. L'aver sancito che la casa coniugale o familiare debba essere "assegnata" al genitore con il quale il figlio si trovi a vivere, rappresenta non un favore, ingenuo e supino, alle donne, come da troppe parti si sostiene senza aver un minimo di confidenza con le dinamiche della crescita del minore stesso; ma al contrario rappresenta l'eplicazione, più concreta ed immediata, per assicurare nella rivoluzione delle presenze domestiche un punto fermo al minore. Il poter contare sulla permanenza in un luogo conosciuto è importante, quanto l'ulteriore principio del non perdere le abitudini della vita domestica, per come si è svolta sino a quel momento. Ed ecco perché tanti padri ora, con la legge sull'affido condiviso, hanno la possibilità di far conoscere al giudice della loro separazione, il loro vero "ruolo domestico" ove questo sia nella realtà, superiore, in termini di tempo e di qualità a quello della madre, esiste la possibillità di affermare in capo a se medesimi la qualità di "genitore assegnatario" della casa familiare. Ed il fatto che l'attenzione ad una tale istanza non sia ancora sviluppata come dovrebbe, non muta in nulla il dato della priorità : la casa familiare e la presenza vicino a se di quel genitore con il quale la vita domestica (soprattutto ad una età di 4 anni) si è svolta per il tempo maggiore, costituisce, questo sì, l'applicazione corretta del principio affermato dal Legislatore. Una diversa concezione in merito all'importanza della difesa del contesto conosciuto (che per una bimba di 4 anni si ripete è fonte di tranquillità) si risolve nel "non applicare lo spirito della norma" nel senso della massima tutela all'interesse del minore! Non v'è infatti chi non veda come nella pratica esplicazione del "provvedimento" triestino, due adulti, che già si trovano a vivere il momento evolutivo della loro separazione personale, con i contrasti le difficoltà e le revance di chiunque, si troveranno, iusso iudicis, a doversi alternare, settimana dopo settimana, nella casa ex familiare, che così non sarà contenitore per nessuno : né per la mamma né per il papà né, ed è cosa più grave, per la piccola. Chi potrà mai affezionarsi ad un luogo che non è suo, nel quale la presenza dell'altro resta una memoria sempre rinnovantesi, quando è noto dopo la cessazione di una esperienza affettiva la prima regola è quella del cercare una "tana" da dove poter riprogettare la vita del "dopo". E come potrà una bimba vedere intorno a se crescere della abitudini contenitive del luogo nel quale dorme, quando queste verranno interpretate da attori diversi di settimana in settimana, con l'aiuto e la presenza ingombrante "dei terzi" ovvero dei "congiunti" di riferimento della diverse famiglie. La tutela dei minori non passa per delle scorciatoie, ed ignorare i principi della interpretazione della norme per provare una strada "creativa", rischia di essere dannoso del sereno sviluppo di un minore. Infine, l'intervenire sulle modalità di visita e frequentazione d'ufficio, in un modo così sui generis può divenire l'incipit di una giurisprudenza "educativa" di una sfera privatissima della vita personale, della quale il Cittadino non può che preoccuparsi.

Giorgio Vaccaro

Avvocato del Foro di Roma

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