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Riforme

La problematica delle notifiche telematiche alla Pubblica Amministrazione

Le Pubbliche Amministrazioni non rispettano la legge

L'avv. Romolo Reboa sollecita l'intervento

dell'Ordine degli Avvocati di Roma

L'incredibile vicenda del Registro IPA "degradato"

Il D.L. 179/2012 ha inserito nella L. 53/1994 (che regola le notifiche in via telematica), l’art. 3-bis al fine  di disciplina le notifiche con modalità telematiche.

La norma stabilisce che la notifica “si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi”.

Sin qui tutto semplice, se non fosse che l’art. 16-ter del D.L. 179/2012 prevede che i pubblici elenchi validi ai fini della notifica sono quelli previsti dalle disposizioni di legge ivi elencate.

Tali elenchi, per quanto riguarda le P.A., erano costituiti, fino al 2014:

  • · dal registro IPA, previsto dall’art. 16, co. 8, D.L. 185/2008;
  • · dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (c.d. Reginde), istituito dall’art. 7, D.M. n. 447/2011;
  • · dal registro INI-PEC introdotto dall'art. 5, co. 3 del D.L. 179/2012, che ha aggiunto al D. L.vo 82/2005 l'art. 6 bis;
  • · dal registro delle Pubbliche Amministrazioni tenuto dal Ministero della Giustizia, previsto dall’art. 16, co. 12, D.L. 179/2012.

Con riferimento a tale ultimo registro, il D.L. 179/2012 prevedeva l’obbligo per le P.A. di comunicare il proprio indirizzo PEC al Ministero entro il 30 novembre 2014, evento non rispettato dalla maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni.

Sin qui nessun problema, la solita <> italiana, ove non fosse intervenuto l’art. 45-bis, co. 2, lettera a), numero 1), del D.L. 90/2014 che ha eliminato dall’art. 16-ter il riferimento all’art. 16, co. 8, D.L. 185/2008, mantenendo soltanto quello al Registro delle P.A. tenuto dal Ministero della Giustizia.

Il risultato è stato che il registro IPA, malgrado sia alimentato solo dalla Pubblica Amministrazione e sia liberamente consultabile online, non riveste quella qualifica di pubblico registro ai fini delle notifiche di atti giudiziali dal quale sia consentita l’estrazione dell’indirizzo PEC di una P.A., sicché, ogni notifica telematica è nulla e può solo essere sanata dalla costituzione in giudizio della P.A. convenuta, con tutti gli effetti processuali del caso.

In sintesi, nella maggior parte dei casi, per avere la certezza che una notifica alla P.A. sia valida, l’avvocato del cittadino deve tornare alle notiche cartacee tramite Ufficiale Giudiziario o postali, con tutte le perdite di tempo ed i maggiori costi del caso.

Per tentare di ovviare a tale problematica, l’avv. Romolo Reboa, nella sua qualità di direttore di InGiustizia la PAROLA al Popolo, ha deciso di inviare all'avv. Antonino Galletti, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, la seguente lettera aperta: <<Caro Antonino,

quale avvocato amministrativista, oltre che Presidente del nostro Ordine Forense, ben conosci la problematica delle notifiche telematiche conseguente all'inerzia della P.A. nella trasmissione dei proprii indirizzi PEC al Registro delle PP.AA..

Tale inerzia non può certo dirsi mitigata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V,  n. 7026/2018, che ha ritenuto ancora valide le notifiche eseguite agli indirizzi pec presente nell’indice IPA (indicipa.gov.it), atteso che la tutela dei diritti richiede certezze e la posta in gioco per l’assistito dell’avvocato è troppo alta per confidare su un pur autorevole precedente giurisprudenziale.

Sono quindi a chiederTi, volendo di ciò informare i lettori della mia testata web, delle iniziative anche di stimolo legislativo che ha intrapreso (o intende intraprendere) l’Ordine degli Avvocati di Roma al fine di tutelare gli interessi dell’avvocatura e della giustizia globalmente intesi,

Certo di un Tuo pronto riscontro, cordialmente Ti saluto.>>

Non si dubita che l’Ordine degli Avvocati di Roma non tarderà ad attivarsi per tentare di risolvere questo problema che crea non pochi problemi all’Avvocatura italiana ed a tutti i cittadini che sono coinvolti in procedimenti giudiziari nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni.


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Impatto della norma sulle discipline bionaturali


Le discipline bionaturali possono definirsi - volendo far proprie le parole della giurisprudenza amministrativa – come quelle tecniche che mirano a favorire il miglioramento e la conservazione del benessere globale della persona mediante metodi rintracciabili nella natura stessa e nei suoi processi vitali. Rientrano nel novero delle “medicine non convenzionali”, discipline estranee, dunque, alla medicina ufficiale ed il cui inquadramento normativo difetta o addirittura manca in molti Paesi Europei, nonostante rappresentino una realtà in crescita esponenziale nell’attuale contesto socio-economico. In Italia la figura professionale dell’operatore del benessere non risulta istituzionalizzata e regolamentata a livello territoriale. Detto vuoto normativo ha dato luogo (e per certi versi continua a dare, anche dopo l’avvento della l. 4/13) ad un ambiguo quadro normativo di riferimento, che non ha fatto altro che disincentivare il fiorire di importante iniziative economiche in tale settore. Da sempre, infatti, la querelle di maggiore attualità ha riguardato l’individuazione della disciplina in concreto applicabile agli operatori del benessere. Va registrato che sino agli anni più recenti l’orientamento della P.A. era nel senso di ritenere l’attività di massaggi sussumibile all’interno della disciplina dell’attività di estetista o addirittura in quella propria del terapeuta, estendendo a tale figura professionale la rispettiva e più stringente normativa. Ciò, sul presupposto che l’attività di massaggio, comunque denominata, si risolvesse, in ogni caso, in trattamenti diretti sul corpo umano. Di qui, numerose sono state le ordinanze comunali di inibizione alla continuazione dell’attività disposte a carico degli operatori del benessere per esercizio abusivo della professione, con cui si contestava la violazione dell’art. 12 l. 4 gennaio 1990 n. 1, in ordine al mancato possesso dell’attestato di estetista e delle prescritte autorizzazioni comunali. Senza tralasciare, poi, eventuali profili penalistici della condotta tenuta dall’operatore, legati all’esercizio abusivo della professione ed alla prevista punibilità di tale fatto da parte dell’Ordinamento (art. 348 cod. pen.).

Tale approccio alla problematica, però, prestava il fianco a facili critiche. In primo luogo, la diversità ontologica esistente tra le discipline in esame non giustifica l’applicazione, in via analogica, di un più stringente regime normativo agli operatori del benessere. L’attenzione è stata focalizzata sul differente approccio e sulle differenti finalità che connotano le discipline bionaturali rispetto all’attività di estetista, essendo le prime volte a recuperare/mantenere/ preservare l’ottimale stato di benessere psico-fisico, a prescindere dal conseguimento di benefici di tipo estetico (attenuazione o eliminazioni degli inestetismi presenti). Tale 15 Diritto differenza, con riferimento alle arti mediche, viene invece individuata nella circostanza che l’operatore del benessere non lavora sul quadro sintomatologico del soggetto (e quindi sulla c.d. “malattia”), ma ha come obiettivo primario quello di sollecitare le risorse di cui ciascun organismo è dotato al fine dell’ottimale stato di salute e benessere che, come anche la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha sancito, non indica semplicemente uno stato di mancanza di malattia, bensì una più ampia condizione e pienezza di vita, in cui la persona si esprime ed opera in completa armonia con sé stessa. In secondo luogo, una siffatta impostazione non appariva aderente alla logica di semplificazione e liberalizzazione che caratterizza gli interventi legislativi intervenuti a cavallo tra il 2011 e il 2012 nonché al criterio di proporzionalità sancito dalla direttiva U.E. sui servizi nel mercato interno. Proprio un’interpretazione “tassativa, restrittiva e ragionevolmente proporzionata” della norma non consente, infatti, di assoggettare le discipline bionaturali - in assenza di una normativa ad hoc - a specifiche restrizioni all’esercizio, eventualmente desunte in via analogica da quanto previsto per attività speculari. Il definitivo superamento dell’orientamento che estendeva alle discipline bionaturali il più severo regime proprio dell’attività estetica e terapeutica si è avuto soltanto con l’avvento della l. 14 gennaio 2013, n. 4, dettata proprio in materia professioni non ricomprese in Ordini e Collegi. Oggi, infatti, le discipline bionaturali vengono considerate professioni non organizzate, ricadenti nel perimetro applicativo della citata l. 4/13 e come tali, liberamente esercitabili ed affidate alla competenza ed all’indipendenza di giudizio tecnico ed intellettuale del professionista.

Nonostante la citata legge presenti dei limiti per l’eterogeneità delle professioni che mira a regolare (in Italia vengono stimate più di duecento professioni non organizzate), consente tuttavia – per la prima volta – di riconoscere alle discipline bionaturali una dignità giuridica autonoma, tracciando così un confine ancor più marcato rispetto all’attività estetica o terapeutica, troppo spesso erroneamente sovrapposte. In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa e, nonostante le esitazioni iniziali, a tale orientamento hanno aderito anche il Ministero dello Sviluppo Economico ed il Ministero della Salute. Non che tale normativa possa dirsi, però, risolutiva di tutte le problematiche riscontate nello specifico settore. Permangono, infatti, delle questioni irrisolte legate, in partenza, all’esclusione delle discipline bionaturali dalla medicina ufficiale, sul presupposto che, allo stato, non sono stati chiariti in maniera soddisfacente e rigorosamente scientifica i meccanismi di azione di molte di esse, evidenziandosi la dicotomia esistente tra la medicina basata sull’evidenza ed il trattamento olistico, più connotato di valenza fideistica e filosofica. In conclusione, può affermarsi che la descritta situazione di impasse potrà ritenersi definitivamente superata solo a seguito di un accurato intervento del legislatore, teso a regolamentare, a livello statale, la figura dell’operatore del benessere. Per completezza d’esposizione, va segnalato che, se a livello nazionale il legislatore è rimasto inerte, di converso numerosi sono stati i tentativi dei legislatori regionali di istituzionalizzare la figura professionale dell’operatore del benessere. Tentativi tutti puntualmente dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Consulta, attesa la riserva di legge in materia di professioni ex art. 117, comma 3, Cost., in virtù della quale la definizione dei principi fondamentali concernenti l’individuazione dei profili professionali e dei relativi requisiti di accesso, con l’eventuale istituzione di appositi albi, viene riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali. La scelta in tal senso, da parte del Legislatore, risponde all’esigenza fondamentale di dettare una disciplina uniforme sul piano nazionale, coerente anche con i principi dell’ordinamento comunitario. Siffatto quadro viene confermato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 il cui art. 1, comma 2, ha attribuito allo Stato l’individuazione delle professioni ed alle Regioni la potestà legislativa sulle professioni così come individuate e definite dalla normativa statale. Inoltre, l’art. 4, comma 2, stabilisce che lo Stato individua “i requisiti tecnico professionali e i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”; l’art. 2, comma 1, conclude precisando che “le Regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l’esercizio della professione”.

Roberto De Blasiis 

avvocato del Foro di Roma 


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Al via il Jobs act per le partite Iva

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha approvato un disegno di legge recante misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. Nello specifico il disegno di legge prevede misure di sostegno in favore del lavoro autonomo e misure per favorire l'articolazione flessibile della prestazione di lavoro subordinato in relazione al tempo e al luogo di svolgimento. Le principali misure riguardano: a) agevolazioni fiscali, consistenti nella deducibilità: nella misura del 100%, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all'auto-imprenditorialità finalizzate all'inserimento o reinserimento del lavoratore autonomo nel mercato del lavoro; b) nella misura del 100% delle spese per la partecipazione a convegni, congressi e corsi di aggiornamento professionale, e in misura integrale delle spese per gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà; c) la parificazione dei lavoratori autonomi ai piccoli imprenditori ai fini dell'accesso ai fondi strutturali europei; d) il riconoscimento del diritto di percepire l'indennità di maternità spettante per i due mesi antecedenti la data del parto ed i tre mesi successivi, indipendentemente dalla effettiva astensione dall'attività lavorativa, l'estensione della durata e dell'arco temporale entro il quale tali lavoratori possano usufruire dei congedi parentali, prevedendo che l'indennità per congedo parentale possa essere corrisposta per un periodo massimo di sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino; e) la previsione della sospensione, senza diritto al corrispettivo, del rapporto di lavoro dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente in caso di gravidanza, malattia e infortunio, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, e la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l'intera durata della malattia e dell'infortunio fino ad un massimo di 2 anni, in caso di malattia e infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell'attività lavorativa per oltre 60 giorni; f) la previsione di una specifica misura di tutela contro la malattia in base alla quale, i periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche, sono equiparati alla degenza ospedaliera. La seconda parte del provvedimento invece reca diposizioni in materia di lavoro agile, che consiste, non in una nuova tipologia contrattuale, ma in una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato quanto ai luoghi e ai tempi di lavoro finalizzata a regolare forme innovative di organizzazione del lavoro, agevolando così la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Il lavoro agile consiste in una prestazione di lavoro subordinato che può essere eseguita in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In questo caso è previsto che: a) il lavoratore che presta l'attività di lavoro subordinato in modalità agile ha diritto di ricevere un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda; b) gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato, siano applicati anche quando l'attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile; c) il datore di lavoro garantisce al lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza. (fonte: www.governo.it) 


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Incentivi fiscali su negoziazione assistita e arbitrato

In Gazzetta Ufficiale n.5 dell'8 gennaio 2016, è stato pubblicato il decreto interministeriale di attuazione dell'articolo 21 bis del Decreto-legge n. 83 del 27 giugno 2015, convertito con modificazioni in Legge n. 132 del 6 agosto 2015, recante incentivi fiscali nella forma del credito di imposta nei procedimenti di negoziazione assistita. A partire dall' 11 gennaio, le parti che abbiano scelto la negoziazione assistita o l'arbitrato come forme di soluzione alternativa delle cause e che abbiano corrisposto, con riferimento all'anno 2015, un compenso all'avvocato che li ha assistiti in procedimenti che si siano conclusi con successo, potranno presentare domanda per il riconoscimento di tale credito, che viene riconosciuto, in maniera proporzionale, fino alla concorrenza di una somma pari a 250 euro, tenuto conto delle richieste presentate e del budget stanziato che, per l'anno corrente è di 5 milioni di euro. Sul sito del ministero della Giustizia (www.giustizia.it) è disponibile il modulo per la richiesta, che procederà esclusivamente per via telematica, corredata da tutta la documentazione prevista dall'articolo 2 del decreto. Al Consiglio dell'Ordine degli avvocati,  è affidato il monitoraggio completo delle procedure di negoziazione e arbitrato e il compito di fornire trimestralmente un quadro completo delle operazioni concluse. Mentre al ministero della Giustizia è affidato il compito di comunicare all'interessato entro il 30 aprile, l'importo del credito d'imposta riconosciuto, che potrà, a seconda della natura del titolare, essere indicato nella dichiarazione dei redditi per l'anno 2015, utilizzandolo così a titolo di compensazione, oppure, portato in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi. Di seguito il decreto: 

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

di concerto con

IL MINISTRO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

Visto l'articolo 21-bis del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante "Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria", convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che prevede incentivi fiscali nella forma di "credito d'imposta" nei procedimenti di negoziazione assistita, nonche' di conclusione dell'arbitrato con lodo, ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162;

Visto il comma 2 del citato art. 21-bis, a norma del quale, con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabilite le modalita' e la documentazione da esibire a corredo della richiesta del credito di imposta, nonche' i controlli sull'autenticita' della stessa;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, recante il testo unico delle imposte sui redditi;

Visto il decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, recante norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche' di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni, e in particolare l'art. 17, concernente la compensazione dei crediti d'imposta;

Decreta:

Art. 1

Definizioni e oggetto

1. Il presente decreto stabilisce le modalita' e la documentazione da esibire a corredo della richiesta di credito di imposta da parte del richiedente, nonche' i controlli sull'autenticita' della stessa.

2. Ai fini del presente decreto, per "richiedente" si intende la parte che ha corrisposto, nell'anno 2015, il compenso all'avvocato che lo ha assistito nel corso di uno o piu' procedimenti di negoziazione assistita conclusi con successo, ovvero agli arbitri nel procedimento di cui al capo I, del decreto- legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, sempre che si sia concluso con lodo.

Art. 2

Richiesta di attribuzione del credito di imposta

1. La richiesta di attribuzione del credito di imposta deve essere proposta compilando l'apposito modulo (FORM), disponibile dal giorno 10 gennaio 2016 in un'area dedicata, denominata "Incentivi fiscali alle misure di degiurisdizionalizzazione di cui al decreto-legge n. 132 del 2014" del sito internet del Ministero della giustizia ("www.giustizia.it").

2. Alla richiesta deve essere allegata: a) copia dell'accordo di negoziazione assistita e prova della trasmissione dello stesso al Consiglio dell'Ordine degli avvocati a norma dell'articolo 11 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ovvero copia del lodo arbitrale che ha concluso il procedimento di cui al capo I del predetto decreto-legge, nonche' copia per immagine dell'originale o della copia autentica del provvedimento giudiziale di trasmissione del fascicolo adottato a norma dell'articolo 1, comma 2, del medesimo decreto-legge; b) copia della fattura, inerente la prestazione di cui sopra, rilasciata dall'avvocato o dall'arbitro; c) copia della quietanza, del bonifico, dell'assegno o di altro documento attestante l'effettiva corresponsione del compenso nell'anno 2015. d) copia del documento di identita' del richiedente;

3. In caso di definizione con successo di piu' negoziazioni assistite, ovvero di piu' arbitrati conclusi con lodo, per i quali e' stato corrisposto un compenso all'avvocato o agli arbitri, e' necessario compilare un numero di richieste corrispondente al numero di procedure.

Art. 3

Modalita' di trasmissione della richiesta

1. La richiesta del credito di imposta e' trasmessa esclusivamente avvalendosi delle funzionalita' del sito internet di cui all'articolo 2, comma 1. La trasmissione deve essere effettuata non prima dell'11 gennaio 2016 e, a pena di decadenza, entro l'11 febbraio 2016.

Art. 4

Limiti complessivi di spesa e relativo rispetto

1. Il credito di imposta, riconosciuto in caso di successo della negoziazione, ovvero di conclusione dell'arbitrato con lodo, e' commisurato, secondo criteri di proporzionalita', al compenso corrisposto all'avvocato o all'arbitro fino alla concorrenza di 250 euro ed e' determinato, secondo i medesimi criteri, in misura corrispondente alle risorse stanziate, nel limite di spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016.

2. Per consentire la regolazione contabile delle compensazioni esercitate ai sensi dell'art. 6 del presente decreto, le risorse stanziate sono trasferite sulla contabilita' speciale n. 1778 "Agenzia delle entrate - fondi di bilancio", aperta presso la Banca d'Italia.

Art. 5

Modalita' di comunicazione dell'esito della richiesta

1. Il Ministero della giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia, entro il 30 aprile 2016, comunica al richiedente l'importo del credito di imposta effettivamente spettante in relazione a ciascuno dei procedimenti di cui ai capi I e II del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132. La comunicazione ha luogo con le modalita' pubblicate nell'area dedicata di cui all'articolo 2, comma 1.

Art. 6

Procedure di utilizzo del credito di imposta

1. Il credito d'imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi per l'anno 2015 ed e' utilizzabile in compensazione, ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione ai beneficiari dell'importo spettante, effettuata dal Ministero della giustizia ai sensi dell'art. 5, comma 1, del presente decreto. A tal fine, il modello F24 deve essere presentato esclusivamente tramite i servizi telematici offerti dall'Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell'operazione di versamento. In alternativa, le persone fisiche non titolari di redditi di impresa o di lavoro autonomo possono utilizzare il credito spettante in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi.

2. L'ammontare del credito d'imposta utilizzato in compensazione tramite modello F24 non deve eccedere l'importo comunicato dal Ministero della giustizia, pena lo scarto dell'operazione di versamento. Ai fini del controllo di cui al periodo precedente, preventivamente alla comunicazione ai soggetti beneficiari di cui al comma 1, il Ministero della giustizia trasmette all'Agenzia delle entrate, con modalita' telematiche definite d'intesa, l'elenco dei soggetti beneficiari e l'importo del credito spettante a ciascuno di essi, nonche' le eventuali variazioni e revoche.

3. Il credito l'imposta non da' luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, ne' del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.

Art. 7

Controlli e cause di revoca del credito di imposta

1. Ai fini di cui all'articolo 6, nonche' allo scopo di agevolare la raccolta dei dati per le finalita' di cui all'articolo 11 del decreto legge n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 162 del 2014, i Consigli degli Ordini forensi trasmettono al Ministero della giustizia, con cadenza trimestrale, un elenco degli accordi di negoziazione loro comunicati a norma del predetto articolo 11, comma 1, classificandoli con le modalita' indicate con provvedimento del capo del Dipartimento per gli affari di giustizia e del capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria. Nel medesimo provvedimento saranno indicate anche le modalita' per la trasmissione dei dati di cui al presente articolo.

2. Il credito di imposta e' revocato nel caso venga accertata l'insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di cui al presente decreto, ovvero nel caso la documentazione presentata, di cui all'articolo 2, contenga elementi non veritieri o sia incompleta rispetto a quella richiesta. Sono fatte salve le eventuali conseguenze di legge civile, penale ed amministrativa e, in ogni caso, si provvede al recupero del beneficio indebitamente fruito, ai sensi dell'articolo 8.

Art. 8

Procedure di recupero del credito di imposta illegittimamente fruito

1. Qualora, a seguito dei controlli effettuati dal Ministero della giustizia, si accerti l'indebita fruizione, anche parziale, del credito d'imposta di cui al presente decreto, per il mancato rispetto delle condizioni richieste ovvero a causa della non eleggibilita' delle spese sulla base delle quali e' stato determinato il beneficio, il Ministero, ai sensi dell'art. 1, comma 6, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, provvede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge.

2. Ai fini dei controlli di cui al comma 1, l'Agenzia delle entrate trasmette al Ministero della giustizia, entro il mese di marzo 2017, con modalita' telematiche definite d'intesa, l'elenco dei soggetti che hanno utilizzato il credito d'imposta attraverso le dichiarazioni dei redditi e i modelli F24 ricevuti nell'anno 2016, con i relativi importi.

3. L'Agenzia delle entrate comunica telematicamente al Ministero della giustizia l'eventuale indebita fruizione, totale o parziale, del credito d'imposta di cui all'art. 1, accertata nell'ambito dell'ordinaria attivita' di controllo.

Il presente decreto sara' trasmesso ai competenti organi di controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Roma, 23 dicembre 2015

Il Ministro della giustizia

Orlando

Il Ministro dell'economia e delle finanze

Padoan

Registrato alla Corte dei conti il 30 dicembre 2015

Ufficio controllo atti P.C.M. Ministeri giustizia e affari esteri,

reg.ne prev. n. 3204


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Riforma in materia di procedure concorsuali, procedure esecutive e processo civile telematico

A meno di un anno dalla pubblicazione del dl 132/2014, l'esecutivo ricorre nuovamente allo strumento della decretazione d'urgenza per apportare rilevanti interventi in materia di giustizia civile. Riforma del concordato preventivo, istituzione di una nuova procedura di ristrutturazione dei debiti, semplificazione dei finanziamenti per le imprese in crisi, contenuto dell'atto di precetto, efficacia del pignoramento, nuovo regime dei crediti impignorabili e deposito telematico degli atti introduttivi presso i Tribunali e le Corti di Appello. Sono solo alcune tra le principali novità contenute nel Decreto-Legge 27 giugno 2015, n. 83, recante "Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2015 e in vigore dallo stesso giorno della sua pubblicazione. Ad una prima analisi, desta perplessità la scelta di ricorrere ancora una volta allo strumento della decretazione d'urgenza e la tecnica degli "innesti" a macchia di leopardo – in luogo della riforma organica di settore tramite il decreto legislativo -, che rischiano di mandare in confusione gli stessi addetti ai lavori, magistrati, avvocati ed ausiliari, e che rendono auspicabili seri ripensamenti, secondo il modello del drafting normativo, in sede di conversione. Il decreto-legge è articolato in cinque Titoli: il primo relativo ad interventi in materia di procedure concorsuali (artt. 1 - 11); il secondo in materia di interventi sulle procedure esecutive (artt. 12 - 15); il terzo reca disposizioni in materia fiscale (artt. 16 e 17); il quarto riguarda la proroga di termini per l'efficienza della giustizia e reca disposizioni per il processo telematico (artt. 18 - 21); il quinto reca disposizioni finanziarie, transitorie e finali (artt. 22 - 24). Tra le modifiche più significative alla legge fallimentare si segnalano gli interventi correttivi alla disciplina dei curatori fallimentari. In primo luogo, per quanto concerne i requisiti per la nomina a curatore, di cui all'art. 28 del R.D. n. 267/1942, viene modificato l'arco temporale di cui al terzo comma: non possono essere nominati in qualità di curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori e chi ha concorso al dissesto dell'impresa "durante i cinque anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento" (in luogo del più breve termine di due anni). Non potranno, inoltre, assumere l'incarico di curatore i soggetti che abbiano "svolto la funzione di commissario giudiziale in relazione a procedura di concordato per il medesimo stesso debitore, nonché chi sia unito in associazione professionale con chi abbia svolto tale funzione". Prevista la istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Nel registro verranno altresì annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse. Il registro sarà tenuto con modalità informatiche ed accessibile al pubblico (art. 5). Il decreto introduce inoltre una nuova forma di accordo di ristrutturazione dei debiti accessibile da parte delle imprese esposte nei confronti di banche e intermediari finanziari per un ammontare non inferiore al 50% dell'indebitamento complessivo (art. 9). In tema di processo esecutivo si segnalano rilevanti modifiche concernenti il contenuto del precetto, i nuovi limiti al pignoramento di stipendi e pensioni e le misure per le vendite, novelle introdotte con il fine di ridurre i tempi per il recupero dei crediti e snellire le procedure.E' stato inserito l'art. 2929-bis del codice civile, il quale consentirà l'esecuzione forzata per i beni immobili o mobili registrati del debitore anche se sottoposti a vincolo di indisponibilità (o di alienazioni a titolo gratuito), senza la preventiva sentenza dichiarativa di inefficacia del vincolo o del trasferimento, laddove il vincolo sia sorto successivamente al sorgere del credito e se il pignoramento sia stato trascritto entro un anno dalla data in cui l'atto stesso è stato trascritto. La possibilità è concessa anche ai creditori anteriori qualora, entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole, intervengano nell'esecuzione promossa da altri. Il nuovo atto di precetto comporterà, attraverso la modifica del comma 2 dell'art. 480 c.p.c., l'obbligo del creditore di avvertire il debitore della possibilità di avvalersi dell'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice per "porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento", concludendo con il creditore stesso un accordo di composizione della crisi o proponendo un piano del consumatore: tale disposizione diventerà operativa a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Viene introdotta anche la possibilità per il debitore, a determinate condizioni, di ottenere la conversione del pignoramento "a rate". Secondo il nuovo quarto comma dell'art. 495 c.p.c., infatti, il debitore potrà chiedere la sostituzione dei beni o dei crediti pignorati con una somma di denaro, da rimborsare anche attraverso un meccanismo rateale. Il giudice disporrà con la stessa ordinanza, laddove ricorrano giustificati motivi, che il debitore versi l'importo con rate mensili entro il termine di 36 mesi, maggiorato degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito o in mancanza al tasso legale. Il giudice, inoltre, ogni sei mesi provvederà al pagamento al creditore pignorante ovvero alla distribuzione tra i creditori delle somme versate nelle more dal debitore. Muta sensibilmente il quantum stabilito per la pignorabilità di stipendi e pensioni mediante l'aggiunta di due nuovi commi all'art. 545 c.p.c.. E, così, le somme dovute a titolo di pensione, di indennità o di altri assegni di quiescenza non potranno essere pignorate "per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà" mentre per la parte eccedente tale ammontare sarà pignorabile nei limiti previsti dalla legge; con riferimento agli stipendi, invece, le somme dovute, "nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento", quando invece l'accredito ha luogo "alla data del pignoramento o successivamente", le predette somme possono essere pignorate nei limiti stabiliti dalla legge. Il pignoramento eseguito in violazione delle suddette norme risulterà parzialmente inefficace e la relativa eccezione sarà rilevabile anche d'ufficio dal Giudice. La riforma interviene anche sull'art. 546 c.p.c., prevedendo un'aggiunta al primo comma in base alla quale, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore delle somme dovute a titolo di stipendio, pensione (o altre indennità relative a rapporti lavorativi o pensionistici), "gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell'assegno sociale"; quando, invece, l'accredito ha avuto luogo alla data del pignoramento o in data successiva, gli obblighi tornano ad operare nei limiti previsti dall'art. 545 c.p.c.. Le aste riguardanti beni immobili o mobili registrati si effettueranno online sul portale unico delle vendite pubbliche e la pubblicità sarà obbligatoria, a pena di estinzione della procedura. Il portale sarà gestito direttamente dal Ministero della Giustizia ed è previsto un contributo obbligatorio par ad euro 100 per ogni "lotto" di vendita. La delega al professionista (che dovrà curare la pubblicità) diventa obbligatoria e viene istituito l'albo dei custodi giudiziari: un elenco dei soggetti specializzati per la custodia e la vendita dei mobili pignorati che dovrà essere tenuto (con modalità informatiche) presso ogni tribunale (ex nuovo art. 169-sexies disp. att. c.p.c.), contenendo anche la documentazione comprovante le competenze maturate dal singolo professionista, anche avendo riguardo a specifiche categorie di beni. Vengono dimezzati i termini per la proposizione dell'istanza di vendita e per il deposito della documentazione prevista dall'art. 567 c.p.c. in materia di espropriazioni immobiliari: modificando l'art. 497, primo comma, c.p.c., infatti, il decreto prevede, a decorrere dalla sua entrata in vigore, che la vendita o l'assegnazione dei beni pignorati vada richiesta entro 45 giorni (in luogo degli attuali novanta) a pena di inefficacia, mentre il termine per il deposito della documentazione ipocatastale, ovvero della certificazione notarile, sostitutiva passa da 120 a 60 giorni, decorrenti dal deposito dell'istanza di vendita. Il valore dell'immobile pignorato, secondo il nuovo art. 568 c.p.c. sarà determinato sempre dal giudice avuto riguardo "al valore di mercato sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall'esperto nominato ai sensi dell'articolo 569, primo comma". Il calcolo dell'esperto dovrà essere effettuato sulla base della superficie dell'immobile (del valore per metro quadro e di quello commerciale), esponendo analiticamente adeguamenti e correzioni della stima, ivi compresa l'eventuale riduzione del valore di mercato. Riguardo alla vexata quaestio, per gli addetti ai lavori, della possibilità di ricercare con modalità telematiche i beni da pignorare, viene prevista, a fronte della mancata concreta applicazione dell'art. 492 bis c.p.c. (introdotto con il dl 132/2014), la possibilità per il creditore di accedere subito alle banche dati per la ricerca dei beni da pignorare (rivolgendosi autonomamente ai gestori), senza dover attendere il decreto attuativo. La disposizione, prevista dall'aggiunta all'art. 155-quinquies delle disposizioni attuative del codice di procedura civile, perderà efficacia laddove il decreto ministeriale non venga adottato entro un anno dall'entrata in vigore della riforma. L'art. 19, aggiungendo al decreto legge 179/12 art. 16 bis, il comma 1 bis il quale prevede la facoltà per il difensore di depositare telematicamente, a decorrere dal 30 giugno 2015, nei Tribunali e nelle Corti d'Appello, l'atto introduttivo o il primo atto difensivo e i documenti che si offrono in comunicazione, consente di superare la problematica relativa alla possibilità per il difensore di depositare telematicamente atti introduttivi nei Tribunali privi del "valore legale" ex art. 35 DM 44/11 rilasciato dalla Direzione Generale per i Sistemi Informativi Autorizzati e che aveva dato origine a decisioni giurisprudenziali discutibili, e variabili da foro a foro, nonché pericolose per gli avvocati in termini di responsabilità deontologica e professionale. Il medesimo articolo attribuisce il potere di certificazione di conformità delle copie degli atti notificati tramite l'ufficiale giudiziario o in proprio tramite ufficio postale quando di tali atti debba essere effettuato il deposito telematico. In particolare, la norma prevede che quando il difensore, il dipendente di cui si avvale la P.A. per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale, depositano telematicamente la copia informatica, anche per immagine (scansione), di un atto formato su supporto analogico (cartaceo) rilasciato, ad esempio, dalla cancelleria o estratto dal fascicolo informatico e notificato nella maniera tradizionale (e quindi o tramite ufficiale giudiziario o in proprio tramite ufficio postale ai sensi della L. n. 53/94), ne attestano la conformità della copia e, a seguito dell'attestazione di conformità, la copia depositata telematicamente, equivale all'originale atto (cartaceo) notificato. Le stesse disposizioni si applicano anche all'atto (citazione ecc.) che il difensore, ai fini della notifica, consegna all'ufficiale giudiziario o all'ufficio postale e che, dopo la notifica, a seguito di scansione, deposita telematicamente sotto forma di copia informatica. Le modalità attraverso le quali dovrà essere attestata la conformità sono dettate dall'art. 16 undecies del decreto legge 179/12 introdotto dall'art. 19 del decreto legge 83/2015 e, quindi, o nel medesimo documento informatico o in un documento informatico separato contenente l'indicazione dei dati essenziali per individuare univocamente la copia a cui si riferisce, documento informatico che, per essere depositato telematicamente, dovrà essere allegato alla "busta" telematica e veicolato alla cancelleria telematica tramite PEC.

Gabriele Germano

Avvocato del Foro di Roma


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