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Criminalità

Una soluzione per la delinquenza giovanile

 avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOI miti che la società propone generano "mostri".

Il fenomeno della delinquenza ha assunto oggi aspetti e problemi pericolosi e sconcertanti, soprattutto se si tiene presente che la criminalità moderna ha operato un salto qualitativo e quantitativo nel suo processo di formazione e nella sua pratica di azione.

Si presenta spesso perfettamente organizzata e più spietata, decisa ed efficiente rispetto alla tradizionale malavita distinta nei suoi “valori” di galanteria, umanità, senso dell'onore, rispetto per i deboli e gli innocenti, rifiuto della violenza fine a se stessa.

La delinquenza odierna usa qualsiasi strumento e mezzo per raggiungere il fine. E' presente in tutti i settori che possono garantire profitti illeciti ed illegali; non si limita più a gestire le sale da gioco o a controllare lo sfruttamento della prostituzione, ma ha allungato i suoi tentacoli sui profitti grandi e piccoli, sul commercio della droga, e sulle tangenti commerciali e industriali, sui sequestri di persona e sul contrabbando, sull'assassinio e sulle rapine.

E' una vera e propria industria strutturata tecnicamente come quelle industrie che impongono duri metodi di lavoro per assicurarsi altri prodotti. Non è del tutto errato avanzare l'ipotesi, peraltro corrispondente nella realtà, che soprattutto nei paesi ad economia avanzata, il fenomeno delinquenziale raggiunge le sue punte più alte, più feroci. La caduta dei valori tradizionali, la disumanizzazione della vita contemporanea, i miti della società attuale, la sua organizzazione industriale, la ricerca paranoica ed ossessiva del guadagno, la ricerca del potere hanno contribuito alla trasformazione oggettiva della delinquenza.

In una società che pone come suoi valori fondamentali la forza e la ricchezza, inevitabilmente una parte degli emarginati scelgono o sono costretti a scegliere la via più breve per soddisfare i bisogni necessari ed anche quelli che la società dei consumi fa apparire come indispensabili. Sarebbe, comunque, limitativo e strumentale ricercare le origini e la causa della delinquenza solo nei disagi economici della società contemporanea; è necessario analizzare anche l'educazione e la formazione politica, i rapporti umani e familiari, l'influenza dell'ambiente sociale che hanno alimentato la spirale delle violenze e le tendenze soggettive alla delinquenza.

Insieme al dilagare della criminalità organizzata, nel corso degli ultimi anni, ha assunto una dimensione preoccupante il numero dei reati commessi da giovani e minorenni. Uno degli aspetti determinanti della delinquenza minorile è l'emarginazione economica e socioculturale di molti giovani che sono esclusi dalla vita attiva e partecipativa del paese: insoddisfatti moralmente, precari economicamente, disprezzati dal mondo civile, senza prospettive per il futuro.

Ostacolati nella loro volontà di desiderio di vita, di soddisfazione dei bisogni, tenuti ai margini della società civile e culturale, spinti nei ghetti della miseria e della solitudine, molti giovani imboccano la strada della violenza e della delinquenza, del crimine individuale.

Allora scippi, furti, rapine diventano gli strumenti per procurarsi beni spesso inutili e impartiti dalla società; la scelta, quasi sempre costretta, della delinquenza appare la scorciatoia più semplice per possedere, senza lavoro, impegno e sacrifici, ciò che è necessario per sopravvivere e i prodotti di consumo superflui che la società moderna ossessivamente propone e spinge all'acquisto.

 

 

Bruno Proietti*

Specialista in criminologia, antropologia criminale e psicopatologia criminale

 

 


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Piazza Fontana: la madre di tutte le stragi

Un'immagine emblematica della devastazione di Piazza FontanaIl 12 dicembre 1969 alle ore 16.37 una bomba esplodeva nei locali della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano in Piazza Fontana. Il bilancio finale fu di 17 morti e 88 feriti. Per molti quello di Piazza Fontana è un mistero, anzi «la perfetta rappresentazione di un mistero irrisolvibile», come scrive Paolo Cucchiarelli, giornalista parlamentare di lungo corso, che abbiamo intervistato in quanto autore del pregevole «Il segreto di Piazza Fontana» (Ponte delle Grazie, 2009) corposo saggio-inchiesta sulla vicenda. Quel venerdì di quarant’anni fa inizia una lunga, tormentata e sanguinosa storia: si possono ricondurre indirettamente alla strage - tra le altre - la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (detto Pino), e del Commissario di Pubblica Sicurezza Luigi Calabresi.

Pinelli precipitò pochi giorni dopo l’eccidio da una finestra della Questura di Milano proprio mentre veniva interrogato da Calabresi, a sua volta trucidato in un attentato a Milano il 17 maggio del 1972. Ed anche l’omicidio Calabresi andrebbe considerato, anzi ri-considerato – secondo Cucchiarelli - come collegato all’eccidio in quanto «derivativo, cioè un omicidio che si fa insieme a qualcuno perché c’è una convergenza di interessi ad avere un obiettivo comune da sponde opposte…». Il Commissario più odiato d’Italia (grazie ai compagni di “Lotta Continua”) avrebbe infatti voluto testimoniare su taluni inquietanti circostanze da lui scoperte legate alla strage poco prima di morire, come ben pochi sapevano.

Invece più o meno tutti sono a conoscenza del fatto che per Piazza Fontana le indagini si concentrarono dapprima sulla pista c.d. “anarchica”, in particolare su Pietro Valpreda e altri anarchici milanesi (tra cui il malcapitato Pinelli), a cui si affiancò più tardi quella “fascista” ovvero riconducibile agli appartenenti di “Ordine Nuovo” organizzazione di estrema destra attiva nel Triveneto, animata da personaggi quali l’inquietante avvocato padovano Franco Freda, l’editore Giovanni Ventura (che ha riparato in Argentina), l’allora giovanissimo Delfo Zorzi (attualmente ricco cittadino giapponese).

Ma questa non sarebbe l’unica circostanza sconosciuta - o quasi rispetto - alla strage. Nel saggio si narra anche di un altro coraggioso Commissario di P.S., Pasquale Juliano, il quale sarebbe sul punto di scoprire il complotto prima di essere “fermato” da mani forti. Un eroe, secondo Cucchiarelli (che gli ha dedicato il libro), anzi nella vicenda «l’unico eroe che mi piace ricordare».

Juliano, infatti, scoprì già nella primavera del 1969 l’attività della cellula “ordinovista” di Padova di Freda&Co. (e che il gruppo fosse in possesso di esplosivo di origine N.A.T.O.). E per questo sarebbe stato pretestuosamente sospeso dall’incarico e dallo stipendio, addirittura messo sotto processo.

Paga un duro prezzo per aver rivelato «che qualcuno stava preparando una strage» ovvero «per aver semplicemente fatto il suo dovere». Il giornalista sostiene anche di più: afferma (invero con molti e puntuali argomenti) che la «strage di Piazza Fontana è una operazione di “intelligence” che doveva predisporre un capro espiatorio. Il capro espiatorio – politicamente parlando – erano gli anarchici ». In particolare, il gruppo anarchico romano denominato “22 marzo” guidato da Valpreda («una persona debole dentro un meccanismo forte») pesantemente “infiltrato” (il gruppo) dai servizi segreti e dalle Forze dell’Ordine.

E quindi manipolato e guidato, secondo uno schema tipico «quello della “trappola”, lo schema di “Oswald” [Lee Harvey Oswald, il presunto solitario assassino del Presidente degli U.S.A. John Fitzgerald Kennedy, NdT]».

Un complotto in piena regola, la cui prova “regina” riposerebbe negli indizi forniti dall’Autore sulle “doppie bombe” che sarebbero esplose alla B.N.A. di Piazza Fontana: una “anarchica” e una “fascista”, delle quali la prima avrebbe dovuto essere “dimostrativa” ovvero non avrebbe dovuto causare morti (la tesi, già nota, è stata sostenuta anche da eminenti personaggi quali Paolo Emilio Taviani). Ma «le bombe sono due, la volontà omicida è solo una, quella di chi fa esplodere anticipatamente tutte e due le bombe…» a banca “aperta”, ovvero quando essa è piena di gente. L’obbiettivo era quello di far ricadere successivamente la responsabilità dell’eccidio sugli anarchici, che pure avrebbero collocato il primo ordigno senza intenzioni stragiste. Proprio per questo tutto il saggio si sviluppa sulla suggestiva tesi del “doppio”. Due gruppi separati (anarchici e ordinovisti&co.), due bombe, due taxi che portano l’attentatore a destinazione.

In uno ci sarebbe Valpreda, nell’altro un suo “doppio” (ovvero un sosia del ballerino anarchico) che mette la bomba assassina … E una scomoda, unica, verità per arrivare a scoprire il segreto di Piazza Fontana, ovvero che lo scopo finale era un golpe in Italia per instaurare un regime autoritario. Un progetto di cui sarebbero stati consapevoli (forse addirittura complici) anche esponenti istituzionali di primo piano: un disegno eversivo ad alto livello che ben spiegherebbe l’impressionante serie di depistaggi, insabbiamenti, omissioni, reticenze che si sono verificate nel corso del tempo.

Cucchiarelli conclude che più di un mistero si tratta di «un segreto, un segreto politicamente condiviso da più settori… frutto di un patteggiamento politico… di un accordo… perché era troppo scomodo all’epoca rivelare la verità», e che non ci sarebbe stata una «regia unica, ma... tante mani». Quelle degli immancabili servizi segreti più o meno “deviati”, della famigerata “Gladio” (la sezione italiana della legittima e benemerita organizzazione clandestina N.A.T.O. denominata “stay-behind”), ma anche dei meno conosciuti “Nuclei di Difesa dello Stato” una sorta di doppione segretissimo di “Gladio”, degli anarchici, degli ordinovisti di Freda e Ventura e altri ancora. La strage di Piazza Fontana è stata la madre di tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia e che hanno scandito – come sottolinea Cucchiarelli - le tappe più importanti della nostra storia recente.

Strage per alcuni “di Stato”, ma soprattutto una strage per la quale lo Stato (in particolare la magistratura, nonostante 11 lunghi processi celebrati dal 1972 fino al 2005) non è riuscito ad individuare i colpevoli.

Strage che ha scavato una ferita profonda – e non rimarginata - nella coscienza civile di un Paese che quel freddo venerdì di tanti anni fa forse ha perso definitivamente la sua innocenza.

 

Rodolfo Capozzi*

Avvocato del Foro di Roma

 


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Un mercato appetibile per vecchie e nuove mafie

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOIl punto di partenza di questa breve riflessione è la trasformazione del prototipo "criminalità organizzata", caratterizzato in questi ultimi anni da due linee evolutive essenziali:

1. il tendenziale affermarsi della criminalità in forma associativa;

2. il carattere transnazionale dei diversi fenomeni criminali.

L'associazione, però, non deve essere intesa esclusivamente come una struttura piramidale (in cui da una "cupola" discendono gli ordini verso la periferia) ma come un complesso di elementi disposti ad "arcipelago" dove ogni isola è legata alle altre solo da uno scopo comune e da direttive operative ampie ed elastiche. Ciò che interessa alle organizzazioni è raggiungere lo scopo; i mezzi sono lasciati alla contingente valutazione del gruppo, o della cellula, che si organizza e tenta di attuare, ognuno a suo modo, il fine comune.

Il carattere transnazionale è sempre più considerato, dalle stesse organizzazioni, come imprescindibile "attributo" di una moderna e competitiva struttura criminale.

E' il mercato, a ben osservare, a determinare la selezione naturale dei gruppi criminali e delle loro modalità operative. Come rende ben evidente Vigna, nella presentazione ad un libro (SPIEZIA- FREZZA- PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Milano, 2002), parlando del mutamento degli oggetti di interesse dei mercati criminali…" se questi erano dapprima orientati - e tale orientamento non è, naturalmente, scomparso - sui beni immobili (agricoltura, edilizia, appalti di opere pubbliche) a questi si aggiungono i beni mobili: dai tabacchi, agli stupefacenti , alle armi, ai rifiuti tossici e nocivi, fino alle persone umane oggetto di immigrazione clandestina o di traffico". All'origine delle predette ragnatele di relazioni, nascenti tra gruppi criminali dislocati in diversi Stati, vi è la necessità di assicurare in modo stabile il flusso dei beni, oggetti del traffico illecito, che dallo Stato "produttore" si dirige verso gli Stati "consumatori". In questo quadro "commerciale" gli esseri umani diventano semplici oggetti di attività illecite altamente redditizie, da svolgere su due piani: quello della migrazione clandestina e quello di un vero e proprio traffico di esseri umani.

Delle persone divengono, così, oggetto di una duplice e distinta attività criminale: la prima è quella che si occupa di reperire la pregiata "materia" e di garantirne il trasporto sino a destinazione; la seconda è quella legata alla collocazione e allo sfruttamento delle vittime sui vari mercati illeciti nei territori di destinazione (prostituzione, lavoro nero, accattonaggio).

Alla luce della difficile situazione internazionale, destinata a non esaurirsi nel breve periodo a causa delle gravi e durevoli conseguenze che generalmente una guerra (seppur rapida) provoca non solo nei territori direttamente colpiti ma anche in quelli limitrofi e lontani legati da rapporti economici e commerciali, bisogna prestare attenzione a futuri fenomeni di traffico e sfruttamento di esseri umani. La materia prima di quest'ignobile mercato, infatti, è rappresentata da uomini disperati e pronti ad abbandonare, alla luce di drammatiche bugie, la propria martoriata terra d'origine per seguire mercanti senza scrupoli, spesso a prezzo dei loro ultimi averi, sempre pronti a prenotare loro dei posti in prima classe su carrette pronte a fronteggiare il mare e le sue insidie. Una guerra, sebbene ritenuta indispensabile, non è mai "lontana" e suoi terribili effetti, drammaticamente, si propagano come onde nel mare con modalità offensive spesso imprevedibili raggiungendo spiagge a prima vista impensabili .

 

Leo Stilo


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Società e Stato contro racket e usura

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOLa criminalità si evolve e si rinnova continuamente, ed accanto alle attività tradizionali ne vengono poste in essere altre, nuove, talvolta improntate all’uso della tecnologia più avanzata.

 

La criminalità si evolve e si rinnova continuamente, ed accanto alle attività tradizionali ne vengono poste in essere altre, nuove, talvolta improntate all’uso della tecnologia più avanzata.

Il quadro della situazione è stato ben descritto dal Commissario Straordinario antiracket ed antiusura Carlo Ferrigno.

D) Ci può descrivere, brevemente, la situazione attuale della lotta al racket ed all’usura mettendo in evidenza, in modo specifico, se si registrano segnali positivi o negativi nel numero di denunce effettuate sul territorio nazionale, in generale, e sulle realtà regionali storicamente più colpite da tali fenomeni criminali, in particolare?

R) Caratteristica comune alle due fattispecie è la natura sommersa, per cui il numero complessivo delle denunce non indica mai la reale diffusione dei fenomeni stessi, quanto, invece, la reazione al reato.

Per tali ragioni i dati statistici relativi alle denunce non possono rappresentare l’unico parametro di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della lotta all’usura ed all’estorsione.

Dall’esame dei dati forniti dall’ISTAT, relativi ai delitti di usura ed estorsione per i quali è iniziata l’azione penale, emerge che, confrontando il dato definitivo dell’anno 2002 con la proiezione del dato relativo al primo semestre del 2003, a livello nazionale il numero delle denunce di estorsione registra un lieve aumento passando da 8240 a 8492, mentre quello delle denunce di usura passa da 800 a 744. Osservando alcune realtà regionali, tuttavia, si registra, sempre in proiezione, un lieve aumento delle denunce di usura e di estorsione, come nel caso, rispettivamente, della Puglia e della Campania. La costante tenuta delle denunce è sicuramente da ricondurre anche alla legislazione di sostegno alle vittime dell’estorsione e dell’usura che, da una parte ha permesso a numerosi operatori economici di rilanciare, con il contributo economico dello Stato, la propria impresa e, dall’altra, ha dato un segnale della capacità delle istituzioni di dare un contraccolpo alla criminalità aumentando nel cittadino il senso di sicurezza e di fiducia nella lotta ai due fenomeni, estorsivo ed usurario, ancora ampiamente diffusi e non sempre denunciati. L’attuale sinergia tra l’attività di solidarietà e l’azione di contrasto svolta dalle Forze di Polizia rappresenta, unitamente all’importante opera di sensibilizzazione e di prevenzione svolta dall’associazionismo antiracket ed antiusura, il metodo più efficace per la lotta al racket ed all’usura.

D) L’impatto delle nuove tecnologie informatiche ha segnato un profondo mutamento dei vecchi archetipi della criminalità organizzata; questa influenza ha determinato anche delle mutazioni nella fase organizzativa ed attuativa del racket e dell’usura?

R) L’uso delle tecnologie informatiche fa parte del nostro quotidiano e costituisce uno strumento validissimo nel settore dell’economia.

La criminalità organizzata, sempre molto attenta a sfruttare tutte le opportunità di profitto, ricorre spesso a tali strumenti.

L’esperienza finora acquisita permette di affermare che l’approccio estorsivo avviene ancora attraverso la richiesta diretta di “pizzo” o mediante atti intimidatori e/o ritorsivi.

In un contesto più recente, però, si rilevano delle nuove forme di estorsione quali quelle del “cyber blackmail” o del “cyber ransom”. In particolare, soggetti specializzati nei crimini informatici chiedono somme di denaro a grandi aziende o gruppi bancari, minacciando di bloccare i sistemi informatici attraverso l’installazione di appositi “files” nelle caselle di posta elettronica, oppure minacciando attacchi nei punti vulnerabili degli stessi sistemi informatici al fine di acquisire e diffondere dati di particolare interesse come ad es. quelli relativi alla gestione delle carte di credito o quelli relativi a particolari progetti di elevato livello tecnologico. Fenomeni come quelli descritti, pur essendo noti, non sembrano particolarmente diffusi perché difficilmente vengono denunciati dalle aziende che li subiscono in quanto significherebbe anche dover evidenziare alcune debolezze dei loro sistemi informatici che potrebbero comportare la perdita di rilevanti quote di mercato.

D) La DIA ha messo in evidenza, in una delle sue ultime relazioni al Parlamento, che, sebbene continui la predominanza sul territorio delle classiche strutture di matrice “nazionale”, esiste un crescente fermento della criminalità organizzata di origine extracomunitaria tesa a realizzare sul territorio nazionale numerosi sodalizi con le realtà criminali locali. Queste nuove mafie stanno tentando di acquisire (o hanno già acquisito), sulla base dei dati in suo possesso, una posizione di rilievo nella realizzazione dei fenomeni criminali in esame?

R) La presenza sul territorio nazionale di organizzazioni criminali straniere di origine cinese, russa e balcanica, unitamente ai contatti ed alle cointeressenze con la criminalità “nazionale”, rappresenta ormai un dato di fatto. In diverse aree del territorio nazionale, in particolare, si è registrata una penetrazione delle organizzazioni criminali cinesi che accompagna la penetrazione commerciale dello stesso ceppo etnico, all’interno del quale, attraverso alcune operazioni di polizia in Toscana sono stati accertati anche casi di estorsione tra connazionali.

Allo stato non si è in possesso di dati che permettono di affermare che le “mafie” di origine extracomunitaria hanno scalzato quelle di matrice nazionale, anche se non si esclude la possibilità che quest’ultime possano delegare alle prime la commissione di atti intimidatori con finalità estorsive.

D) Si può affermare, ancora oggi, che il racket costituisca una delle fonti di approvvigionamento più sicure per garantire il sostentamento dell’organizzazione criminale, per acquisire capitali da reinvestire in altre attività criminali o nell’economia legale e, in particolare, che serva come strumento di controllo del territorio?

R) Attraverso il racket le organizzazioni criminali raccolgono, a basso rischio, elevate somme di denaro destinate prevalentemente a sostenere le famiglie degli associati detenuti, a pagare importanti collegi di difensori ovvero ad avviare ulteriori traffici illeciti. Attraverso l’esazione del “pizzo” la criminalità afferma il proprio controllo del territorio assoggettandone il tessuto socio-economico, alternandone, inevitabilmente tutti i meccanismi di mercato ed impedendo all’economia di alcune aree del nostro Paese di svilupparsi liberamente.

La mafia attraverso l’imposizione di vincoli di diverso tipo nella gestione dell’impresa, influenza direttamente l’andamento del mercato, impedendo di fatto ogni possibilità di sviluppo basata su scelte aziendali.

Alla apparente tranquillità che segue l’acquiescenza alle richieste dei mafiosi che propongono una “protezione” da loro stessi, in realtà corrisponde la rinuncia all’esercizio del diritto di proprietà e di impresa. Anche l’usura, che tradizionalmente è stata un’attività tollerata dalle mafie, sta assurgendo a strumento di penetrazione commerciale delle organizzazioni criminali che, attraverso un prestito usurario a favore di imprenditori con difficoltà di accesso al credito, possono in breve tempo controllare aziende da utilizzare come strumento per inserirsi nell’economia legale alterandone gli equilibri di mercato attraverso “vantaggi competitivi” derivanti dalla forza di intimidazione del sodalizio di riferimento.

Oltre alla denuncia, quindi, lo strumento più efficace per combattere l’usura è quello della prevenzione al cui potenziamento stiamo lavorando da tempo di concerto con le organizzazioni di categoria, le associazioni antiracket e le fondazioni antiusura.

D) Quali saranno, nel prossimo futuro, le linee guida che caratterizzeranno l’azione del Commissario Straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura?

R) Sono quattro gli obiettivi strategici perseguiti in via prioritaria: creazione di una sinergia istituzionale, raccogliendo ed organizzando tutte le informazioni sui fenomeni delittuosi in esame al fine di strutturare piani di riferimento su dati precisi, creando, in tale ottica un “polo aggregato e propositivo”; istituire un rapporto diretto con le realtà sociali, procedendo alla ricognizione delle realtà più delicate, dialogando con tutti i soggetti interessati e valutando, nel rispetto dei ruoli, le prospettive di intervento; stimolare ed agevolare le singole iniziative sul territorio.

Il Commissario, infatti, deve costituire il naturale “collante” tra le Istituzioni e la cd. Società civile e, in tale quadro, ha il dovere di sensibilizzare la componente sana del tessuto sociale ad organizzarsi al meglio; snellire le procedure burocratiche al fine di poter concedere, nel più breve tempo possibile, i benefici previsti dalle norme antiracket ed antiusura a chi ne ha il diritto, tutto ciò nella consapevolezza che ogni contributo è utile solo nel rispetto di determinate tempistiche.

 

Leo Stilo


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Stato contro antiStato

Il 6 ottobre 2003 è stata presentata alla Camera e al Senato la relazione annuale sullo stato della sicurezza.

 

 

Il 6 ottobre 2003 è stata presentata alla Camera e al Senato la relazione annuale sullo stato della sicurezza. Il punto nodale dell’intera relazione diviene, alla luce delle passate critiche mosse dall’opposizione al Governo, l’insieme dei traguardi raggiunti dallo Stato nella lotta contro la criminalità organizzata di tipo mafioso. Tuttavia, in merito a quest’ultimo argomento la relazione che più interessa è quella consegnata al Parlamento dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) sui risultati ottenuti nel corso del primo semestre 2003. Se da un lato, infatti, continua la predominanza sul territorio delle classiche strutture di matrice «nazionale» dall’altro si evidenzia un crescente fermento della criminalità organizzata di origine extracomunitaria che realizza nel territorio numerosi sodalizi con le realtà criminali locali. Il carattere internazionale è sempre più considerato, dalle stesse organizzazioni, come imprescindibile «attributo » di una moderna e competitiva struttura criminale.

Quello che si nota, in modo evidente, è il tendenziale abbandono dell’improvvisazione e del carattere contingente di tali alleanze. I reati che le organizzazioni di matrice extracomunitaria realizzano trovano fondamento e linfa vitale nel traffico di esseri umani, visto come strumento di approvvigionamento privilegiato delle vittime (materia prima) da destinare allo sfruttamento sessuale e al lavoro nero.

A tali delitti si affiancano anche quelli classici del traffico di stupefacenti, di armi nonché il riciclaggio dei proventi illeciti. Per quanto riguarda le organizzazioni tradizionali, nonostante si segnalino numerosi successi della magistratura, si deve mettere in evidenza la grande capacità rigenerativa delle varie strutture. Le più rilevanti iniziative criminali sono, infatti, riconducibili alla sfera di influenza delle quattro tradizionali strutture di tipo mafioso (cosa nostra, camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita). Nella seconda parte della Relazione, la DIA mette in evidenza gli aspetti operativi e i risultati di maggior rilievo attenuti nei primi sei mesi 2003. Leggendo i dati e le statistiche quello che colpisce sono i risultati ottenuti dalle forze dell’ordine sul fronte della lotta all’infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto sano dell’economia. In particolare, l’investigazione preventiva è stata incentrata sull’esame delle «segnalazioni di operazioni finanziarie sospette» al fine di individuare quelle riconducibili alla criminalità organizzata. Il secondo settore è quello degli appalti pubblici, considerato dalle organizzazioni criminali come preziosa fonte di denaro e di potere. Grazie all’accaparramento di queste risorse le organizzazioni riescono ad attuare il reinvestimento, in iniziative legali, di ingenti risorse «liquide» di provenienza illecita, e a garantirsi una fonte ulteriore di controllo delle attività amministrative degli enti locali.

Alle conclusioni raggiunte della DIA nella relazione si devono aggiungere alcune riflessioni derivanti dai recenti successi, della magistratura e delle forze dell’ordine, ottenuti in Calabria nella lotta contro la ‘ndrangheta.

Queste operazioni, di ingenti dimensioni, hanno messo in evidenza come la criminalità organizzata abbia un attuale interesse ad infiltrarsi nelle amministrazioni locali per dirottare le risorse economiche provenienti dai grandi investimenti pubblici nazionali e comunitari. Nello stesso periodo si è assistito ad un ritorno al commissariamento di alcuni Comuni per presunte infiltrazioni mafiose ed alla presa di coscienza da parte del mondo politico di dover compiere profonde riflessioni sui «collaboratori di giustizia» e sul ruolo che gli stessi devono avere nelle dinamiche investigative e processuali. Per concludere questa breve descrizione della situazione attuale della lotta alla criminalità organizzata, alla luce delle relazioni presentate al Parlamento, appare chiaro che l’attenzione delle forze di polizia e della magistratura dovrà essere rivolta, nel prossimo futuro, alle amministrazioni locali dove appare più appetibile infiltrarsi per riuscire a gestire la «res publica » per fini illeciti.

 

 

Leo Stilo


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