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Unione Europea

Lactalis: coinvolte 83 nazioni. Latte in polvere per neonati contaminato da salmonella.

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E’ sempre più vasto l’allarme per i casi di salmonella dovuti a partite di latte in polvere per bambini neonati, prodotti da Lactasil. Sono 83, fino ad ora, le nazioni coinvolte e sono  12 milioni le confezioni del prodotto ritirate.  Il ministero della Salute ha tuttavia precisato che nessun lotto del latte contaminato è arrivato in Italia: "Le autorità francesi non hanno comunicato, tramite il sistema di allerta comunitario (Rasff), l'esistenza di lotti spediti verso il nostro Paese". A titolo precauzionale sono comunque stati avviati i contatti con la Commissione europea e la Francia per ulteriori controlli. A confermare la notizia è lo stesso amministratore delegato di Lactalis, Emmanuel Besnier, in un'intervista al settimanale Le Journal du Dimanche. "Dobbiamo misurare la portata di questa operazione", ha spiegato. L’amministratore delegato ha assicurato che quel latte in polvere non sarà più distribuito e che tutte le confezioni in circolazione sono in corso di ritiro dai punti vendita. Uscendo dal suo silenzio Besnier, ha anche promesso di risarcire "tutte le famiglie che hanno subito danni". Ha sottolineato che: "Questo è per noi, per me, motivo di grande preoccupazione". Dopo l'incontro di venerdì tra Besnier e il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, il gruppo Lactalis ha ordinato il ritiro di tutte le partite di latte per l'infanzia prodotte nel suo stabilimento di Craon (Francia occidentale). Il capo del gruppo ha affermato di aver proposto al governo che questa misura sia estesa a tutti e 83 i paesi coinvolti. Dal 9 gennaio, secondo le ultime cifre ufficiali, sarebbero 35 i bambini a cui è stata diagnosticata la salmonellosi in Francia dopo aver consumato latte o alimenti per l’infanzia della Lactalis. Un altro caso è stato confermato in Spagna e un altro caso da confermare in Grecia. Interrogato sulle centinaia di denunce presentate dai genitori di tutta la Francia, in particolare per "lesioni involontarie" e "per aver messo in pericolo la vita degli altri", Besnier ha assicurato che non avrebbe nascosto nulla. "Ci sono lamentele, ci sarà un'indagine, collaboreremo con la giustizia dando tutti gli elementi che ci verranno chiesti. Non abbiamo mai pensato di agire diversamente".

È diventato così ormai un enorme scandalo sanitario quello del latte per neonati contaminato prodotto dal gigante Lactalis, che controlla anche l'italiana Parmalat. Ma si è scoperto poi, nonostante la notizia, che il latte per poppanti è rimasto sugli scaffali di molti supermercati nelle ultime settimane, continuando a esser regolarmente venduto nonostante l'allarme della autorità.  Le associazioni consumatori si preparano a una mega-causa.

Martina Pazzaglia


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Europa unita? Due pesi sue misure

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOCari amici e lettori, soffermo questa volta la mia attenzione su il grande Mostro (e visti gli effetti forse solo quello) che è l'Europa! Da quando ci siamo dentro esiste solo Lei....L'Unione Europea: al mercato, al bar, sui giornali, nel quotidiano ambiente di lavoro, nella pizzeria sotto casa, nelle alte istituzioni, anche nella toilettes di casa propria, e chi più ne ha più ne metta, non dobbiamo mai dimenticarci che siamo una Europa Unita in cui tutto si fa "insieme": Benissimo, se fosse cosi, perché c'è un però! Se Europa Unita vuol dire un solo blocco unito, perché questo si traduce solo nell'Unione di Banche e di interessi economici? Unico dovrebbe essere ad esempio il sistema sanitario, o il sistema d'istruzione, di funzionamento di scuole, Università e, guardando da vicino il mondo forense, anche l'esercizio della professione forense di avvocato. Entrare nel Palais de Justice di Parigi dalla "porta principale", esibendo il proprio tesserino da Avvocato del foro di Roma dovrebbe essere normale e scontato ma non lo è. Poi, passato il varco, ci si dice tra sé e è che bello essere in Europa, poi peccato che l'autocompiacimento si ferma al varco "protetto dai Galli": se si vuole discutere, scrivere atti da depositare e, insomma, esercitare con il titolo italiano in prima persona non si può, serve ben altro! A domanda si risponde che è molto semplice: o si sceglie di iscriversi nella lista degli avvocati stranieri oppure si fa la cd "equivalenza" del titolo secondo la normativa europea. Bene, direte voi, peccato che non è cosi semplice perché nel primo caso si deve avere un contratto di collaborazione "veritiero" di nome e di fatto con uno studio locale e, nel secondo caso, produrre una discreta mole di documenti, ovviamente tradotti da un perito giurato e, in base al proprio percorso, sostenere gli esami dettati dall'alto, in lingua ovvio. Il tutto con un dispendio di soldi non indifferente. Come direbbe qualcuno, la domanda sorge spontanea: non eravamo nella "Europa Unita"? Si, in teoria si, siamo nella Comunità Europea, in quella unione che, a mio avviso, più che una unione ha, piuttosto, le fattezze di una unica grande bilancia, con due pesi e due misure.

Paola Tullio

Avvocato de Foro di Roma

Addetto Stampa di A.T.R.


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Il cancelliere europeo

Si è svolto Friburgo dal 4 all'8 settembre u.s. il Congresso 2013 dell' E.U.R. (Unione europea dei Funzionari Giudiziari). Alla cerimonia inaugurale è seguito il Convegno sul tema: "Il cancelliere europeo, organo indipendente dell'amministrazione della giustizia in seno ad una giustizia efficace in Europa". Gli intervenuti: LAMMER (presidente dell'Associazione dei Rechtspfleger tedeschi); DESCH (rappresentante per il Ministro federale della Giustizia); SINGER (direttore generale del personale del Ministero della Giustizia del Baden-Wurttemberg); STACEY (presidente della CEPEJ, Commissione per l'Efficienza della Giustizia del Consiglio d'Europa); KAPPL (presidente EUR), hanno confermato l'importanza in genere della struttura amministrativa degli uffici giudiziari e in particolare del lavoro "giurisdizionale" svolto dai "rechtspfleger" sia in Germania che in Austria. Stacey ha, inoltre, sottolineato l'ottima collaborazione tra l'EUR e la CEPEJ, sia in occasione delle sessioni plenarie, sia nei gruppi di lavoro sui tempi della giustizia e sulla qualità della giustizia, nonché nell'elaborazione del Rapporto biennale sui sistemi giudiziari, nel quale un capitolo è dedicato espressamente al personale "non giudice" che opera negli uffici giudiziari. Ha poi comunicato che è in corso di elaborazione un nuovo sistema di valutazione dei sistemi giudiziari, i cui dati verranno trasmessi anche alla Commissione Europea. Al Congresso erano presenti 14 stati membri su 16: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Italia, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, e i membri associati Giappone e Sud Corea. Per l'Italia presente il Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati Daniela Intravaia che, intervenuta con una relazione sull'e-justice, ha segnalato la difficoltà di trovare standard comuni in materia informatica a livello europeo e ha auspicato che l'E.U.R. possa favorire lo scambio di conoscenze in questa materia tra gli Stati. Ha suggerito, inoltre, l'opportunità di prevedere in ogni ufficio giudiziario un "cancelliere europeo" con una formazione specifica sulla normativa UE, per offrire un valido supporto ai cittadini in questo campo ancora poco conosciuto. Il programma di lavoro proposto dalla Francia per la presidenza dell'E.U.R. per il triennio 2013/2016 è: Proseguire nella promozione del "Libro Verde" per un cancelliere/Rechtspfleger europeo. Formazione dei cancellieri/Rechtspfleger. Formazione iniziale e formazione continua sono i preliminari insostituibili per svolgere le funzioni in modo efficace e riconosciuto. Approfondire i lavori della CEPEJ, sulla valutazione dei sistemi giudiziari, sulla qualità della giustizia e sui tempi della giustizia. Collaborazione con l'Unione europea. L'assemblea generale E.U.R. 2014 sarà organizzata dalla Danimarca e si svolgerà a Odense (città natale di Andersen) dal 10 al 14 settembre, mentre per la realizzazione dell'Assemblea generale 2015 si è già prenotata la Francia (probabilmente si svolgerà a Digione, presso la ENG - Scuola di formazione dei cancellieri).

ALFREDO ROVERE

DIRIGENTE ISPETTORE MINISTERO DELLA GIUSTIZIA


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UE: i diritti diventano difficoltà

Causa di preoccupazione o mera conferma di fondate preoccupazioni? Solo il buon senso fa credere a chi è sempre stato comprensibilmente contrario al mandato d'arresto europeo che la relazione dell'europarlamento sullo stesso mandato sia preoccupante, anzi totalmente allarmante.

Le considerazioni espresse nel testo A6-0049/2006 definiscono una così bassa considerazione per elementi quali la sicurezza nazionale o i diritti fondamentali che solo la bandiera blu stellata fa capire che si parla ancora di Europa, occidente.

Non c'è spazio per i giri di parole nella lunga lista di 'considerando' che precede le raccomandazioni dell'assemblea al Consiglio UE: «considerando la volontà manifesta di vari Stati membri di […] aggiungere motivi supplementari di rifiuto contrari alla decisione quadro 2002/584/GAI (istitutiva del mandato, ndr) quali motivi […] di sicurezza nazionale oppure rispetto dei diritti fondamentali… »; oppure: «considerando le difficoltà di trasposizione riscontrate recentemente da vari Stati membri (in particolare la Germania) e la necessità di rendere i testi costituzionali nazionali conformi alla decisione quadro 2002/584/GAI», per finire con un «considerando che la mancanza di fiducia reciproca tra giudici […] limita l'efficacia della cooperazione giudiziaria».

Ebbene sì, il Parlamento Europeo, secondo solo alla Commissione nella gara per simboleggiare una burocrazia continentaletanto costosa quanto inefficiente, ha deciso di dare lezioni proprio di efficienza ed efficacia agli Stati membri per far funzionare meglio il mandato, iniziando a sacrificare pilastri quali la sicurezza nazionale, le costituzioni ed i diritti fondamentali.

Si conferma così che il rifiuto della consegna di una persona per motivi di sicurezza nazionale non è legittimo, ammettendo implicitamente che il mandato d'arresto europeo potrebbe implicare una minaccia per la sicurezza nazionale e che nonostante ciò esso debba prevalere.

Si conferma che il rispetto dei diritti fondamentali è un motivo di rifiuto illegittimo, ammettendo implicitamente che il mandato d'arresto europeo potrebbe implicare una minaccia per i diritti fondamentali dell'interessato e che nonostante ciò esso debba prevalere.

Si conferma che, per il febbrile europeismo degli europarlamentari, la costruzione di un altro tassello del super Stato europeo ben giustifica l'adeguamento delle storiche e democratiche costituzioni dei Paesi europei alle procedure dell'UE, e non il contrario, come consiglierebbe il senso comune.

Si conferma che in questa Europa unita sulla carta, e soprattutto con la carta delle gazzette ufficiali, nemmeno i giudici si fidano gli uni degli altri.

La precedente relazione della Commissione COM(2005) 63 appare meno retorica, ma non meno biasimevole.

«La consegna di propri cittadini» da parte di uno Stato, un'operazione che implica un palese tradimento di quel dovere di protezione che ogni organizzazione statuale ha nei confronti dei propri cittadini, viene giudicata «una grande innovazione della decisione quadro» che «è ormai divenuta una realtà».

«Il controllo sistematico della doppia incriminazione» è diventato una mera «difficoltà».

Il motivo di rifiuto sulla base del principio «del ne bis in idem […] che permette a certi Stati membri di colmare una lacuna della decisione quadro», o il rifiuto per «violazione dei diritti fondamentali» o «per discriminazione», così come per motivi «di sicurezza nazionale o implicanti un controllo nel merito del caso», «devono essere invocati solo eccezionalmente in seno all'Unione».

Per finire ci si lamenta del fatto che «la decisione quadro non prevede di attribuire valore di domanda di arresto provvisorio a una segnalazione Interpol, contrariamente a quanto avviene per una segnalazione SIS». Dove andremo a finire di questo passo?.

 

Andrea Trunzo

 


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Tareq Aziz: battaglia contro una condanna annunciata

In Italia impegno bipartisan per un processo equo e trasparente. A Bagdad il vice di Saddam alla sbarra.

Il 29 aprile si è aperto a Baghdad il processo a Tareq Aziz, numero due del regime guidato per decenni da Saddam Hussein. Ai tempi della sua consegna alle autorità militari degli Usa, avvenuta il 24 aprile 2003, Tareq Aziz figurava al numero 43 nella lista dei 55 super-ricercati del Pentagono e nel "mazzo di carte" dei latitanti era stato classificato come l'8 di picche. L’ex Vice primo ministro, unico esponente cristiano nella nomenklatura del deposto regime, è accusato di aver fatto condannare a morte una trentina di commercianti incriminati per aver speculato sull'aumento dei prezzi di generi di prima necessità durante il periodo di embargo tra il 1991 ed il 2003.

Per Tareq Aziz la pena capitale è subito apparsa inevitabile, viste le molte analogie col processo a Saddam: ad esempio, presiede il processo il giudice curdo Rauf Rasheed Abdel, lo stesso che pronunciò la condanna per l’ex dittatore.

Ovviamente tutto questo ha provocato una mobilitazione internazionale da parte di politici, premi Nobel e personalità di tutto il mondo che, non solo si schierano contro la pena di morte in generale, ma difendono anche la figura di Aziz, distinguendola da quella di Saddam Hussein.

Rispetto al raìs, infatti, il giornalista iracheno diventato suo vice, s’è sempre distinto come il "volto presentabile" del regime, tanto che nel 1984 venne ricevuto alla Casa Bianca dall’allora presidente Ronald Reagan. Come unico cristiano, inoltre, Tareq Aziz risulta una importantissima figura di riconciliazione religiosa. In passato i suoi rapporti con il Vaticano sono stati buoni, al punto che, a poco più di un mese dall’inizio della guerra in Iraq, nel febbraio del 2003, venne accolto da Giovanni Paolo II, a cui assicurò “l’intenzione del governo iracheno di cooperare con la comunità internazionale, in particolare sul disarmo”.

In questa lotta per il rispetto della Giustizia internazionale e dei diritti umani, l’Italia, anche a seguito della sua straordinaria vittoria della Risoluzione sulla "Moratoria Universale della pena di morte", approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 18 dicembre 2007, continua a dimostrarsi uno dei Paesi più attivi ed impegnati. Questo perché, di fronte a questi temi, vengono finalmente superate tutte le divisioni ideologiche ed abbandonati gli spiriti settari: centinaia di personalità e di Parlamentari di tutti gli schieramenti politici, hanno sostenuto l'Appello, lanciato dall’esponente radicale Marco Pannella, per la "Moratoria della pena di morte anche per Tareq Aziz".

Nel testo dell’appello si legge che questa iniziativa non è “un ‘mero’ atto umanitario», ma ha «un preciso, concreto e puntuale obiettivo politico: la difesa del diritto e della verità, della legalità e della giustizia in Iraq. Evitare la condanna a morte e l'esecuzione di Tareq Aziz, che rischiano di avvenire senza che vi sia stato un processo degno di questo nome, potrebbe segnare una evidente soluzione di continuità rispetto a metodi e pratiche in voga ai tempi di Saddam”.

Questo appello è stato inizialmente associato ad uno sciopero della fame, su iniziativa del partito Radicale e dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino” iniziato il 6 luglio 2008 e terminato il 12 agosto quando, secondo l’ex onorevole Pannella, “gli obiettivi che avevano portato l'urgenza della lotta nonviolenta sono stati in realtà raggiunti. Quando abbiamo resuscitato - ha continuato Pannella - il nome di Tarek Aziz, si trattava di un nome e di una persona sepolta nell'inesistenza, dopo la serie di decenni nei quali come principale collaboratore del dittatore Saddam Hussein rappresentava l'abito perbene di quel regime. Oggi sappiamo innanzitutto che abbiamo esorcizzato la possibilità di una messa a morte rapidissima, via processo lampo con un tribunale speciale di nomina governativa”.

Tuttavia, nonostante gli effetti positivi della mobilitazione internazionale, rimangono ancora molti ostacoli da superare affinché si possa ritenere con sicurezza che Tareq Aziz abbia un giusto processo: finora gli è stata negata ogni garanzia processuale: il suo avvocato iracheno, Badie Arief Izzat, è stato espulso e gli è stato interdetto di soggiornare in Iraq. La sua colpa è quella d’aver denunciato alla stampa internazionale il mancato rispetto dei protocolli internazionali, la corruzione di alcuni funzionari e le menzogne del governo iracheno. Anche la famiglia del legale è stata ugualmente costretta a lasciare il paese per paura di ritorsioni.

Inoltre, nonostante più di 150 avvocati da tutto il mondo abbiano presentato dossiers al Ministero della giustizia iracheno a difesa dell’ex braccio destro di Saddam, è stato impedito a chiunque altro di entrare nel processo. Il portavoce del Tribunale ha giustificato questa situazione, annunciando la volontà di Aziz di difendersi da solo, ma sono in molti, tra cui gli stessi familiari dell’ex vice primo ministro, a dubitare della spontaneità di questa decisione.

Proprio per analizzare questo caso e presentarlo all’attenzione dell’opinione pubblica , si è tenuta il 30 luglio scorso una tavola rotonda dal titolo "Giustizia penale internazionale e caso Tareq Aziz". L’evento, promosso dall’organizzazione "Non c’è pace senza giustizia" e dal Partito radicale, ha visto come relatori studiosi, politici e attivisti di ogni schieramento: i radicali Marco Pannella ed Emma Bonino (in collegamento telefonico); il sindaco di Roma, Gianni Alemanno; l’ex ministro degli interni, Giuliano Amato; Antonio Cassese, già presidente del tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia; Giovanni Conso, presidente della conferenza diplomatica che ha istituito la Corte penale internazionale; i rappresentanti di "Non c’è pace senza giustizia" Gianfranco Dell’Alba e Sergio Stamani; e Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

Antonio Cassese nel suo intervento ha sottolineato che “in Iraq non solo la giustizia è quella di vincitori, perché si processano solo i vinti, ma non è nemmeno amministrata in modo equo. È amministrata - aggiunge il docente di diritto internazionale - in un modo infame, che calpesta i diritti della difesa e non dà pubblicità agli atti processuali”.

Tutto ciò risulta ancora più ingiusto se si pensa a casi analoghi come quello dell’ ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, dell’ ex vicepresidente della Repubblica democratica del Congo, Jean Pierre Bemba, e al presidente in carica della Repubblica del Sudan, Omar Al-Bashir. Tutti e tre sono accusati di crimini di guerra e contro l’umanità (per Al-Bashir e Karadzic anche di genocidio), ma non rischiano la pena di morte perché a giudicarli saranno proprio tribunali internazionali. Secondo Giuliano Amato questa circostanza evidenzia la pressante necessità che “la Corte penale internazionale affermi una giurisdizione internazionale stabile, ordinaria, non speciale e "ad hoc", su particolari crimini”.

Inoltre a prescindere dalle ragioni di equità, ci sono anche ragioni politiche per cui è fondamentale che il processo segua tutte le norme internazionali: “avere una condanna trasparente per Tareq Aziz, preservandolo dalla pena di morte, può essere – ha detto Alemanno - un segnale potente per il Medio Oriente. In questo modo la comunità internazionale può far capire che c’è la volontà di portare l’area fuori da logiche di conflitto assoluto” .

Insomma, la vicenda è ancora aperta e dall’esito dubbio, ma una cosa è certa: riuscire ad evitare la condanna sommaria di Tareq Aziz sarebbe veramente una passo avanti dell’ intera comunità internazionale verso un sistema che garantisca “Giustizia, ma nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona”, come ha chiesto l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, caldeo, come Tareq Aziz.

Sembra che il segreto per vincere questa battaglia sia semplicemente superare divisioni ed antiche contrapposizioni per raggiungere obiettivi comuni.

 

Libera Cavaliere

 

 

  

 


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