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Interviste

Un chitarrista di "diritto"

Incontro Andrea, per un’intervista su quella che ormai è diventata la sua professione e sin dai primi scambi di battuta ci accorgiamo entrambi che diverse cose ci accomunano: entrambi figli di avvocati, entrambi laureati in legge, entrambi cittadini del mondo per le nostre passioni che sono e saranno il nostro futuro lavorativo: io per diritto, Andrea per la musica, in particolare la chitarra. Andrea De Vitis, infatti, pur essendo molto giovane, è considerato uno dei chitarristi più interessanti della sua generazione sia in Italia sia all’estero. Per i suoi meriti artistici ha ricevuto la “Chitarra d’oro per la giovane promessa 2013” nell’ambito del XVIII Convegno Internazionale “Pittaluga”di Alessandria. La sua intensa attività concertistica lo ha portato ad esibirsi come solista in prestigiose sale da concerto in Italia e in Europa (Spagna, Austria, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca), ottenendo il consenso di pubblico e critica. Nel marzo 2015 è stato pubblicato il suo CD di esordio “Colloquio con Andrés Segovia”con l’etichetta Dot Guitar; il debutto discografico ha raccolto un grande successo di pubblico e critica. Ma non voglio svelarvi troppo e vi lascio il piacere di scoprirlo grazie all’intervista che Andrea ci ha concesso.

D: Andrea, tanto per cominciare parlaci un po’ di te.Quando hai iniziato a suonare la chitarra e perché?

R: Fin da piccolo mi divertivo ad improvvisare canzoncine e motivetti ascoltati in tv su una piccola tastiera-giocattolo che mi era stata regalata. A 10 anni decisi che era il momento di passare ad uno strumento più serio scegliendo la chitarra, che era lo strumento a me più consono, una passione che col tempo è diventata la mia professione. Ho deciso di studiare chitarra perché mi piace suonare da solo, mi espongo di più, ho più responsabilità e questo mi spinge a fare sempre meglio. I miei studi sono iniziati con Marco Cerroni presso il Collegium Artis di Frascati, dove attualmente svolgo attività didattica, per poi diplomarmi al Conservatorio Morlacchi di Perugia nella classe di Leonardo De Angelis. Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza,  ho arricchito i miei studi musicali presso la “Segovia Guitar Academy” di Pordenone, frequentando poi numerose masterclasses e partecipando ad importanti concorsi internazionali tra cui: il Forum Gitarre Wien, Budapest International Competition, Concorso Internazionale di Gargnano, Concorso Internazionale Città di Mottola, Concorso Alirio Diaz di Roma, Concorso Internazionale Claxica.

D: Una curiosità, perché la laurea in giurisprudenza?

R: Diciamo che era il mio piano B! Se avessi fallito con la musica o la mia carriera da musicista dovesse terminare potrei sempre “accontentare” mio padre e seguire le sue orme…

D: A tal proposito, come ha reagito tuo padre alla tua decisione di intraprendere un percorso completamente opposto al suo?

R: Diciamo che all’inizio non era molto d’accordo, ora è diventato il mio manager, mi supporta e condivide con me sacrifici e successi! Sai per fare il musicista, soprattutto per chi come me ha scelto 

uno strumento diciamo di nicchia, oltre alla passione ci vuole tanto studio ed anche supporto economico. E partecipare ai concorsi è anche un modo per potersi sostenere. Le chitarre poi, sono molto costose, a volte costano più di un’automobile. Insomma, bisogna investire tanto! In tutti i sensi.

D: Quali sono le chitarre con cui hai suonato e suoni?

R: Attualmente suono una chitarra del liutaio belga Walter Verreydt e uno strumento del liutaio Mario Grimaldi. Entrambe hanno tavola in abete e fasce-fondo in palissandro indiano; mentre la Grimaldi è di costruzione tradizionale (fan bracing), la chitarra di Walter Verreydt presenta la diversa formula costruttiva del lattice-bracing (tuttavia senza l’aggiunta di materiali diversi dal legno). In passato ho suonato le classiche“chitarrone” spagnole in cedro: la Doble tapa premium del liutaio Contreras II ed il Modelo especial armonico di Antonio Gonzalez Cardenal.

D: Quali sono state e sono le tue principali influenze musicali?

R: Le mie influenze derivano soprattutto dai maestri con cui ho studiato: Paolo Pegoraro, Adriano Del Sal e Arturo Tallini. Inoltre mi interessa molto la prassi esecutiva barocca e l’esecuzione della musica antica su strumenti originali. Al di fuori della musica classica, i miei gusti musicali spaziano dai Dire Straits alla Bossanova…

D: A Marzo 2015 è uscito il tuo cd di esordio “Colloquio con Andrés Segovia” che ha riscosso un ottimo successo di pubblico e critica. A quale brano sei più legato?

R: Con questo cd ho voluto fare un tributo ad uno dei chitarristi più famosi al mondo, che ammiro per il fatto che ha stimolato numerosi compositori a scrivere musiche per chitarra scegliendo, tra le innumerevoli pagine che gli giungevano da ogni dove, quelle più vicine al suo gusto, lasciando da parte opere ragguardevoli ma a lui meno congeniali. Il brano a me più caro di questo cd è “Estudio sin luz”, un brano scritto da Segovia nel 1953 in una clinica oculistica madrilena, nella quale il maestro aveva subito un intervento chirurgico per distacco della retina che per giorni gli tolse l’uso della vista, ma non gli impedì l’uso della chitarra, e il frutto di quei giorni fu appunto questo brano, che io amo particolarmente.

D: Andrea, per concludere questo appassionante viaggio insieme, quali saranno i tuoi progetti futuri?

R: Nel corso dell’anno parteciperò ad alcune masterclass tra Italia ed Europa. Il mio progetto attuale è di portare la chitarra in luoghi che solitamente sono destinati ad altre attività artistiche, ad esempio i teatri. E chissà magari dopo il nostro incontro potremmo anche progettare insieme un concerto negli Usa!

Massimo Reboa 

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ANF impugna regolamento specializzazioni

L'Associazione nazionale Forense, in occasione del Consiglio Nazionale tenutosi a Rimini il 26 e 27 settembre u.s. ha annunciato l'impugnazione del regolamento sulle specializzazioni. Il segretario generale Luigi Pansini ha infatti dichiarato che: Il regolamento per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista presenta evidenti profili di illegittimità, dunque non possiamo che impugnarlo di fronte al Tar del Lazio. ANF non é stata mai contraria, e non lo é tuttora, alle specializzazioni, ma, per come l'idea della "specializzazione" dell'avvocato è stata realizzata, il regolamento ministeriale presenta troppe criticità, addirittura ulteriori rispetto a quelle già evidenziate nel corso dell'iter amministrativo di formazione del provvedimento. La specializzazione non può essere ottenuta a seguito di un percorso esclusivamente teorico e culturale, ed è palese è la diversità di trattamento ed il disvalore dell'effettiva esperienza professionale, anche con riferimento al mantenimento del titolo di specialista, rispetto all'attività di frequenza di corsi normativi. Al contempo, la valutazione della "qualità" degli incarichi ai fini della comprovata esperienza non è ancorata ad alcun criterio oggettivo ma rimessa ad un apprezzamento ingiustificatamente discrezionale. Nel settore dell'esecuzione forzata, la qualità ed il numero degli incarichi rende di fatto generica l'individuazione del settore di specializzazione e paradossali il conseguimento ed il mantenimento del titolo di specialista, dovendo l'avvocato escludere, per dimostrare la comprovata esperienza, gli incarichi aventi ad oggetto le medesime questioni giuridiche e che necessitano un'analoga attività difensiva. Queste e tutte le altre criticità erano state portate all'attenzione della politica, delle istituzioni forensi e del Ministero della Giustizia anche nel corso dell'ultimo congresso nazionale dell'Avvocatura di Venezia del mese di ottobre 2014, con due mozioni (di cui una a firma ANF) approvate dalla massima assise dell'Avvocatura, evidentemente rimaste lettera morta, anche in sede di attuazione della volontà degli avvocati. Alla luce di tutto ciò la sensazione che si sia perso tempo prezioso è palese e dunque non abbiamo potuto far altro che decidere di rivolgerci al giudice ha concluso Pansini.


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Motivation and coaching for lawyers

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOParliamo di motivazione. Non vi preoccupate, non voglio parlare di una sentenza o degli articoli che impongono ai magistrati di dare contezza dei motivi che li hanno portati alla loro decisione. Poi parleremo anche di allenamento. Ma state tranquilli, non voglio chiedervi di correre o saltellare per mantenervi in forma. Per non incorrere in possibli errori o ambiguità, da adesso in poi (giuro) userò i termini corretti ed adeguati al contesto, vale a dire MOTIVATION e COACHING (tanto per usare correttamente gli americansimi o essere tacciato di esterofilia), intesa la prima nel senso non tanto psicologico che le spetterebbe, ma in quello socio-economico che l'ha resa parte integrante della nostra quotidianità. Quanto al secondo come allenamento mentale. Entrambi come migliorare la propria predisposizione ed attitudine nella professione e (perchè no?) anche nella vita. MOTIVATION è un termine ben specifico, assunto a vero e proprio elemento dell'organizzazione di ogni azienda ed oggi oggetto di master, corsi di formazione, seminari più o meno specializzati. Difficile oggi fare carriera in un'azienda, più o meno grande, se non si è ben motivati. Anche nei Curriculum che riceviamo, inviati da aspiranti colleghi, collaboratori, segretarie, non si manca di porre in evidenza come il candidato sia seriamente motivato ad intraprendere la professione. Ridotta ai suoi minimi termini, la motivazione è la risposta alla banale domanda:ma chi me lo fa fare di andare avanti? Già, chi ce lo fa fare? Credo che ce lo siamo chiesto spesso oggi. Specialmente noi avvocati. Riforme a gettito continuo con novità legislative a raffica, che ci impegnano ed obbligano ad un continuo aggiornamento, ben più reale di quello che viene imposto con metodi che ci riportano ad essere bravi e disciplinati scolaretti. Aumento dei costi, delle tasse, delle spese non solo legate alla professione. Tutto a fronte di minori introiti, aumento della concorrenza (anche il nostro amato e fedele praticante domani sarà un infido collega rivale). Aumento dei disagi nelle aule; code che il processo telematico sembra non avere minimamente scalfito; ore in attesa di sentir chiamare la nostra udienza. E poi doversi giustificare (NOI!) davanti al cliente perchè il giudice è stato sostituito e la causa rinviata di un anno o due, o perchè la precisazione delle conclusioni è prevista a tre anni e, oltretutto, la sentenza non uscirà lo stesso giorno. Ma chi ce lo fa fare? Non ditemi che non ve lo siete mai chiesti. Chi ce lo fa fare di alzarsi al mattino per andare a presenziare ad un'inutile udienza, magari mentre piove e Roma è impraticabile? Magari mentre abbiamo quella noiosa febbriciattola che domani sarà un'influenza coi fiocchi. Chi ce lo fa fare di rimanere in studio fino a tardi a finire quell'atto che la segretaria non può scrivere perchè se ne va alle sette e trenta? Non voglio andare avanti con esempi di banale quotidianità giudiziaria che ben conosciamo (ahinoi). Si potrebbero fare tante altre cose meravigliose con le nostre capacità, la nostra intelligenza, la nostra creatività, ma la miseria della legge (quella scritta e quella applicata) ci impone uno stile di vita non propriamente elettrizzante (e mi fermo qui). Ho voluto estremizzare, e riportare tutto alla quotidianità locale, non certo comparabile con quella americana dove, però, i nostri colleghi (peraltro ben più pagati di noi), già si sottopongono a corsi e seminari motivazionali proprio come dirigenti aziendali. Da quelli destinati ai giovani per portare a temrine il loro impegno, a quelli per i senior, finalizzati anche all'acquisizione di nuova clientela, fidelizzandola. Ma, al di là della gestione in senso stretto, i corsi motivazionali focalizzano anche sul miglioramento del professionista, inserito nei nuovi contesti sociali, giuridici, ed economici. Credevamo di vivere ancora in un'epoca industriale o post industriale, o forse nell'era dell'IT e forse non ci siamo resi conto che ci troviamo nella connect economy dove vengono premiati i leader e gli innovatori. Dove si richiede fiducia, originalità, carisma e capacità di comunicare che si concretizzino in relazioni che possano portare lavoro. Purchè, però, sia lavoro nuovo, creativo, anche redditizio. Insomma, per riuscire, dobbiamo diventare degli artisti che si applicano alla loro nicchia di mercato e di economia. E noi abbiamo ancora l'illusione che il mondo possa essere risolto a colpi di cavillo, mentre qualcuno segue già i corsi di coaching for lawyers dove, tra l'altro, non si perde di vista, giustamente, il life balance. Ed ecco che realizziamo come la nostra carriera è il nostro investiment. Ma è un investimento in realtà non programmato, non pianificato, ma preso necessariamente così come viene, fidandoci del passa parola, come avveniva in passato, o semplicemente sul buon nome dello Sudio in cui iniziamo la pratica o, illusi, nel nostro una volta spiccato autonomamente il volo. Ecco però che ci ritroviamo, magari dopo venti anni o più di professione, a chiederci, ma chi me lo fa fare. Probabilmente in molti, forse i più, abbiamo vissuto la la professione senza renderci conto di come i cambiamenti esterni potessero sconvolgere addirittura la quotidianità. Oltretutto senza essere preparati. Senza un minimo di anestesia. L'approccio mentale che finora ci ha guidato, basato sul libero professionista classico, è cambiato. Noi siamo aziende. Così come l'uomo delle caverne era un imprenditore che la sera mangiava ciò che aveva prodotto, noi lo siamo oggi. Ed ecco che dobbiamo, per la nostra stessa sopravvivenza, vivere ed adeguarci ai concetti di azienda, ai suoi elementi, ai suoi strumenti, ad imparare che un'azienda sopravvive se si adegua alla realtà mutevole. Diversamente faremmo la fine dei produttori di macchine da scrivere nell'era del computer. Ed il peggio è che ancora ci illudiamo a produrre le nostre macchine da scrivere quando anche android sembra vicino ad essere superato. Ecco quindi che abbiamo disogno dei corsi di motivation e coaching per sopravviere e, più che altro, per crescere. Ci adegueremo, perchè l'unica alternativa è quella di scomparire. Però, lasciate che le conclusioni seguano la risposta del cuore e non la logica economica. Ok, mi adeguo. Seguirò anche io i corsi di coaching e quelli di motivation per migliorarmi ed essere sempre up to date ed in grado di fronteggiare nuove sfide; mi dedicherò allo studio della connection economy per capire cosa inventarmi nella professione e, magari un giorno, essere fondatore e titolare di uno studio con decine di avvocati associati, magari presente in tutto il mondo. Ma voglio rispondere alla mia domanda. Chi me lo fa fare? Ciò che me lo fa fare è una seconda pelle, che mi porto dietro, così come penso moltissimi di voi. Quella pelle che indosso ogni mattina per andare in udienza o mettermi in coda davanti ad un ufficio. Quella seconda pelle che mi fa affrontare clienti isterici che non pagano e controparti con cui è impossibile trattare; giudici inconsapevoli e cancellieri a cui poco importa di noi. Una seconda pelle che mi fa ingoiare bocconi amari, a non dare le risposte che vorrei per il rispetto della mia deontologia. Questa seconda pelle, che non mi voglio togliere, e che mi ostino a chiamare Toga. E a tutti i colleghi, gli analisti, gli psicologi e manager, speaker di professione e motivatori, voglio ricordare che tutte le loro lezioni (che ripeto, non mancherò di seguire) già esistevano quasi duemila anni fà, e si trovano in quelle lettere che Seneca scriveva a Lucilio. Il filosofo già allora aveva capito che è l'animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi. E allora, seguendo il consiglio di Seneca, e le lezioni moderne dei nuovi guru, prepariamoci alle nuove sfide della professione. Ad maiora.

Gianni Corto dell'Aiuto

Avvocato del Foro di Roma


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Dematerializzazione degli studi legali

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOL'immagine dello studio di un avvocato non sarà per sempre quella di una volta. Niente scartoffie all'Azzecca-garbugli e archivi infiniti e polverosi. Seguendo i passi da gigante della tecnologia infatti la professione di avvocato si è evoluta a ritmi sempre più veloci. Nel volgere di pochi decenni, le macchine da scrivere e le agende cartacee sono state sostituite prepotentemente dai computer. Quest'ultimi, inizialmente accolti come semplici elementi di supporto per lo svolgimento della professione, oggi rappresentano un insostituibile strumento di lavoro nella gestione degli studi legali ai quali l'ormai imminente decollo del processo civile telematico richiede loro una sempre maggiore informatizzazione e la necessità di interfacciarsi con molti sistemi informatici diversi. Mentre in passato gli studi legali hanno investito limitate risorse in tecnologia oggi la situazione sta cambiando radicalmente: infatti il core business degli studi legali è legato indissolubilmente agli investimenti in campo informatico. In particolare, è in continuo aumento la domanda di applicativi software gestionali pensati ad hoc per le esigenze degli studi legali, cui prontamente hanno risposto le aziende ICT del Paese orientando la propria mission aziendale su questo versante. A conferma di tale trend, abbiamo intervistato Fabrizio Immorlano, amministratore di Nemesi Service, azienda operante nel Lazio con più di 25 anni di esperienza nel settore ICT, in particolare realtà leader nell' outsourcing archivistico e della sicurezza informatica.

D: Dott. Immorlano, come è nata l'idea di creare sistema di software di gestione studio legale nonostante la frammentazione del settore?

R: L'idea è nata dall'esperienza dei soci anche in questo settore, i quali hanno raccolto le difficoltà organizzative di alcuni studi legali derivanti dalla quotidiana crescita del cartaceo e dalla necessità di poter attingere in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, con rapidità ed efficienza a qualunque pratica dell'archivio. La messa a punto del software ha richiesto una progettazione complessa ed accurata per fornire un servizio completamente ed esclusivamente dedicato alle esigenze di un qualsiasi studio legale.

D: Può fornire una presentazione dei sistemi software di gestione, in relazione alla semplificazione del lavoro dell'Avvocato con la imminente scomparsa del supporto cartaceo?

R: Il software di gestione, o meglio, i software di gestione, in quanto il lavoro di acquisizione digitalizzazione- indicizzazione e memorizzazione dei dati necessita di più software dedicati, permette di digitalizzare tutte le pratiche dello studio con evidenti vantaggi:

• a livello organizzativo, in quanto l'Avvocato può in qualsiasi momento consultare, in locale o da remoto su dispositivi mobili, l'intero archivio;

• a livello economico, in quanto si abbattono i costi relativi all'affitto di locali dedicati allo stoccaggio delle pratiche cartacee.

L'inoltro dei dati avviene su server proprietari, oppure nel cloud di fornitori commerciali. La sicurezza è assicurata da una doppia cifratura a 256bit + 256bit, ossia di gran lunga superiore a quella di una transazione bancaria online.

D: Pensa che tutti gli studi legali si convertiranno alla gestione telematica ?

R: Certamente, l'avvento del processo civile telematico è la conseguenza del progresso tecnologico della nostra società a cui tutti, in via graduale, dovranno adeguarsi anche in considerazione dei grandi vantaggi ad esso legati.

D: Ritiene che in futuro prossimo il settore della commercializzazione del software telematico si espanderà a macchia d'olio?

R: Gli odierni software telematici sono la naturale evoluzione delle richieste delle utenze mondiali, sia business che private, che esigono accessi ai dati, veloci, sicuri ed interattivi. E' facile quindi immaginarne una espansione esponenziale.

Frida Ferranti


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Il COA come una casa di vetro

ioavv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOIl Consiglio dell'Ordine di Roma, riunitosi appena prima di Natale, ha visto le dimissioni del consigliere Tesoriere Donatella Cerè, eletta plebiscitariamente a rappresentare gli avvocati romani presso la Cassa Forense. Nella carica di Tesoriere è allora subentrato il consigliere Galletti, da anni impegnato nelle lotte per i diritti dell'avvocatura e che ora avrà occasione di continuare la buona opera del consigliere Cerè nella gestione dei fondi dell'Ordine. A tal proposito gli abbiamo chiesto come pensa di esercitare il suo nuovo ruolo.

D: Lei è reduce da tante battaglie in favore dell'Ordine. Come pensa che questa sua esperienza possa giovare all'avvocatura romana?

R: L'avvocatura italiana, e quella romana in particolare, mai come in questo momento hanno bisogno di riprendere fiducia e solo la consapevolezza delle proprie potenzialità, in primis tecnico – giuridiche, può consentire di rivendicare il giusto ruolo sociale e propulsivo che compete alla famiglia forense. L'avvocatura romana purtroppo è stata per troppo tempo mondana e modaiola ed ha chiesto udienza alla politica (e purtroppo spesso anche alla magistratura) presentandosi, per così dire, con il cappello in mano e magari confidando in interventi compassionevoli, talvolta nella speranza di ottenere qualche beneficio per i propri rappresentanti. Credo sia doveroso invertire la rotta: i rappresentati dell'avvocatura devono rivendicare con orgoglio i diritti e gli interessi della famiglia forense, senza paure o tentennamenti. Se occorre, non bisogna tirarsi indietro neppure nelle battaglie giudiziarie, dove spesso le nostre ragioni sono apprezzate meglio che nella politica. Al riguardo, credo sia importante ricordare le fortunate campagne giudiziarie che abbiamo combattuto a testa alta negli ultimi anni, anche fuori dal Consiglio, contro la mediaconciliazione, il c.d. titolo da avvocato specialista (nella prima versione che il CNF avrebbe voluto imporci), l'orario di apertura delle cancellerie e oggi la lotta contro l'esorbitante aumento del contributo unificato (siamo intervenuti col COA di Roma al TAR di Milano e ora interverremo dinanzi alla Corte di Giustizia chiamata proprio oggi a pronunciarsi dal TAR trentino).

D: Quali sono i suoi progetti nella carica di consigliere Tesoriere, alla quale è stato da poco eletto?

R: Intendo proseguire nel solco inaugurato nel corso dell'attuale consiliatura, perseguendo i principi di massima trasparenza, efficienza e economicità. Nell'intervento che ho pronunciato in Consiglio in occasione dell'insediamento ho sostenuto che l'Ordine deve diventare una vera e propria casa di vetro; per la prima volta nella sezione trasparenza del sito istituzionale ho disposto che siano pubblicate tutte le spese e i pagamenti eseguiti; sempre sul sito sono stati subito pubblicati ben tre avvisi per selezioni di contraenti al miglior prezzo; a brevissimo partirà la prima gara con CONSIP per il servizio di pulizia con indicazione per via telematica del migliore offerente. Sono tutti eventi e fatti, non soltanto simbolici, ma addirittura "storici" per il nostro ente pubblico non economico. I colleghi romani, che pure mi hanno votato in Consiglio in modo plebiscitario (con oltre 4300 preferenze), non devono avere una religiosa fiducia nei confronti dell'operato del Tesoriere, ma devono verificare con i loro occhi come sono investiti e spesi i loro danari. Abbiamo confermato anche quest'anno la riduzione del contributo d'iscrizione, in netta controtendenza rispetto a tutte le altre istituzioni pubbliche e sarà necessario ridurre ancora i costi e le spese, lasciando invariati i servizi offerti a titolo gratuito agli avvocati romani (dalla formazione, alla biblioteca on line, al c.d. redattore degli atti che riusciremo a farci fornire gratuitamente dalle principali società che operano nel settore).

D: Lo scontro tra l'avvocatura e i vari governi succedutisi nell'ultimo decennio è stato evidente, uno per tutti ricordiamo la soppressione dei Tribunali e delle sezioni distaccate. Perché l'avvocatura rimane una categoria inascoltata?

Gli ultimi Governi sono stati assi poco "politici" e costruiti sull'onda emergenziale della crisi; tutte le categorie sono rimaste inascoltate, tranne taluni potentati economici e industriali sempre in grado di condizionare la vita del nostro Paese. E' compito nostro recuperare quella credibilità e quel prestigio che soli possono consentirci di rivendicare il ruolo costituzionale che ci compete. Non lo faremo nei salotti e nei party, ma con l'attività di assistenza e di difesa dei diritti e degli interessi dei cittadini nelle sedi giudiziarie competenti e con la formazione che dobbiamo garantire e perseguire (anche senza l'inutile spauracchio dei crediti formativi) per innalzare la qualità delle nostre prestazioni professionali. Il COA di Roma è oggi al centro dell'attività del coordinamento delle Unioni e degli Ordini distrettuali che ha già ottenuto un importante riconoscimento con la convocazione al tavolo tecnico ministeriale per la scrittura dei regolamenti imposti dalla nuova legge di riforma professionale, affiancando la rappresentanza politica dell'OUA e quella istituzionale del CNF.

D: Per concludere, cosa auspica per il futuro della giustizia italiana ed in particolare per la categoria cui appartiene, che il 20 febbraio p.v. scenderà in piazza?

R: Il prossimo 20 febbraio è importante riuscire a coinvolgere, nell'iniziativa condivisa all'esito della conferenza di Napoli di gennaio, tutti i colleghi che giustamente si lamentano della situazione attuale e degli ultimi improvvidi provvedimenti governativi e legislativi. E' sin troppo facile lamentarsi, stando comodamente seduti in poltrona e dietro al pc, occorrerà stavolta invece mettersi in gioco nell'interesse anche dei cittadini i quali sono e restano nostri assistiti e non "clienti" come, con orrida terminologia, dicono taluni i quali vorrebbero poi equipararci ai bottegai. La Giustizia italiana avrà un futuro soltanto se saprà riorganizzarsi e recuperare al ruolo centrale che le compete l'avvocatura la quale, dal suo canto, non potrà farsi trovare impreparata e dovrà essere pungolo anche dei futuri interventi parlamentari e governativi.

Massimo Reboa


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