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Riforme

Processo civile: un altro lifting, anzi no, un maquillage

La riforma di Angelino.

 

Il disegno di legge governativo recante...”disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonchè in materia di processo civile”, licenziato dal Senato il 3 marzo, sta per tornare in seconda lettura all'Aula di Montecitorio dopo l'esame della Commissione Giustizia.

E' tempo dunque per me di esprimere un giudizio e azzardare qualche pronostico da modesto ma quotidiano operatore della giustizia civile, considerato che di processo civile per l'appunto si tratta.

Un giudizio complessivo? E’ presto fatto. Ancora una volta il legislatore si accinge a una modesta operazione di lifting o peggio di maquillage sull'esempio di tanti troppi precedenti interventi coi quali ci si è illusi che bastasse qualche ritocco qua e là nella vita del processo per ovviare alle scandalose insufficienze del sistema rispetto alla domanda di giustizia che viene dal Paese.

Nell'operazione che sta per concludersi v'è anzi di peggio, rispetto ai precedenti interventi. Col pretesto, ormai speso quotidianamente a proposito e a sproposito, di dover ubbidire al feticcio dello sviluppo economico, della semplificazione e della competitività, si punta ormai dichiaratamente alla “riduzione” dei procedimenti civili tale la sconfortante rubrica dell'art. 34 bis contenente la delega al governo che si accompagna agli interventi diretti del Parlamento come a un obiettivo benefico da perseguire a tutti i costi.

Si dà dunque per pacifico e scontato che i procedimenti civili ai quali è dedicato l’ interesse del legislatore sono di intralcio alla economia del Paese. Il taglio è già in sé allarmante perché parte dal presupposto che economia e giustizia civile siano termini e realtà tra loro antinomiche. A questa ottica in verità il legislatore già da qualche anno ci ha avvezzati: basti ricordare le riforme del fallimento e del diritto societario quest’ultima destinata, sembra, a morire, come prescrive la delega al Governo, dopo breve e travagliata esistenza.

Senonché quand’anche si condivida senza riserve l’affermato predominio anzi la tirannia dell’economia sulla giustizia condivisione che costa uno sforzo immane a un avvocato d'altri tempi che fatica a credere che le aspettative di giustizia del cittadino debbano cedere alle ragioni spesso feroci dell'economia per di più globale e transnazionale resta tuttavia da vedere se i mezzi corrispondano al fine, se cioè la riforma, per quanto già realizzata e per quanto invece delegata, risponda agli scopi dichiarati.

La risposta è ahimè negativa e condita di stupore. Questa riforma è un insieme di ritocchi agli istituti, in particolare ai termini processuali, di modestissima rilevanza pratica.

Accanto a questi ritocchi si legge il rafforzamento delle sanzioni per la soccombenza e/o la mancata accettazione di proposte conciliative. Primeggiano invece nell'ottica del legislatore: a) Il procedimento sommario di cognizione il cui successo è fortemente affidato alla gestione che ne farà di volta in volta il giudice, gestione che, ovviamente, esige la improbabile collaborazione del convenuto-resistente.

b) La testimonianza scritta del cui successo può legittimamente dubitarsi in ragione della prevedibile titubanza del giudice e della controparte a dar credito tout court a dichiarazioni assunte fuori dal controllo e dall'approccio diretto del testimone col processo e con la sua sede naturale. c) Quanto poi al giudizio preventivo di ammissibilità del ricorso per cassazione di cui è detto nel codificando art. 360 bis, è appena il caso di osservare che esso è formulato in modo da dare largo spazio di “decimazione” alla Corte, già a ciò impegnata fortemente con gli strumenti dell'autosufficienza del ricorso e del quesito di diritto, quest’ultimo in verità destinato sembra finalmente con la riforma, dopo breve e combattiva esistenza, a tirare le cuoia. Senza dire che la costituzione di un apposito Collegio…… “della inammissibilità” raddoppia il lavoro già alacremente svolto dalle Sezioni nell'esame preliminare dei ricorsi.

Questo è quanto suggerisce l’esame del testo che la Camera si accinge a varare.

Altri commentatori, ben più autorevoli del sottoscritto, hanno dato o daranno parere sulla riforma. Certo è che questa sembra essere stata suggerita da chi non ha pratica e quotidiana esperienza delle Corti e dei Tribunali.

Sa il Ministro che da collega seppur modesto mi sono permesso evocare per nome nel titolo di questo sfogo sa il Ministro che la Corte di Appello di Roma, e non solo questa, registra tempi di un anno tra la stesura in minuta delle sentenze e la loro pubblicazione?

Sa il Ministro che il personale di molte cancellerie è ridotto alla metà dell’organico?

La verità è, ancora una volta, che nella giustizia civile non si vuole investire un euro. La verità è che nell’ottica dei politici la giustizia civile deve autofinanziarsi se non addirittura produrre un avanzo di cassa, come apparve chiaro anni fa con la istituzione del “contributo unificato” al quale purtroppo giovò una imprudente battaglia di noi avvocati contro il pur collaudato e glorioso “cicerone” che si incollava sugli atti.

 

Giorgio Della Valle* Avvocato del Foro di Roma


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Dibattito sulla riforma della giustizia e delle professioni

Sesta Conferenza Nazionale dell'Avvocatura.

Duemila gli avvocati che hanno partecipato alla sesta conferenza nazionale dell’OUA, l’Organismo unitario dell’Avvocatura guidato da Maurizio De Tilla, tenutosi il 20 e 21 novembre scorso all’Hilton Cavalieri di Roma, dove a gran voce sono state chieste alla politica proposte serie per una giustizia più efficiente. Tanti i temi trattati: dalla riforma della giustizia e della professione forense al riconoscimento costituzionale dell’avvocatura. Numerosi e autorevoli anche gli ospiti. In particolare tra i professionisti del Foro ha riscosso molto successo l’intervento del Guardasigilli, che innanzi ad una platea che più volte lo ha interrotto con applausi ha ribadito a proposito della riforma della professione forense approvata dalla commissione Giustizia del Senato, che «finalmente diventerà legge una riforma proposta da chi esercita la professione ed è una cosa buona perchè ritengo che le riforme non si possono fare contro le professioni stesse». Ribadendo comunque il “no” a riforme dettate dall’Associazione nazionale magistrati. Oltre all’intervento di Angelino Alfano sono arrivati alla conferenza anche i messaggi del Presidente della Repubblica Napolitano, del presidente della Camera Fini e del premier Silvio Berlusconi. Il presidente del Senato, Renato Schifani, è invece intervenuto di persona. Benedetto XVI ha inviato agli avvocati la sua benedizione tramite un messaggio del cardinal Tarcisio Bertone. Dall’Avvocatura, nella persona del Presidente dell’Oua, Maurizio De Tilla invece è arrivata la richiesta di approvare il ddl così com’è «senza cedere a pressioni dei poteri forti» che chiedono delle modifiche in quanto ritengono che la riforma faccia lievitare i costi delle spese legali.

Carmen Langellotto

 


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Il ruolo del mediatore nel sistema giustizia

Riforma della giustizia civile.

Ci siamo! Lo avevamo detto da tempo.

L’ennesima riforma sulla giustizia civile è pronta. Di che si tratta? Ma dell’introduzione di un sistema che tende ad evitare che le controversie divengano cause o che le cause giungano alla fase decisoria (quella più problematica, evidentemente). Come? Ma con l’introduzione del Mediatore; elementare, Watson!

Questa figura, sotto il vigile controllo del Ministero della Giustizia, dovrà porre rimedio alle annose disfunzioni della giustizia civile.

Non con il rafforzamento dell’organico dei Magistrati, non con l’aumento dell’organico delle Cancellerie, non con l’informatizzazione del vetusto sistema di richiesta copie e iscrizioni a ruolo, non con il controllo reale sula produttività. Tutto funzionerà solo con il MEDIATORE.

Egli dovrà “imporre” una soluzione transattiva, prima della causa o durante la stessa, che indurrà le parti a rinunciare alla lite o a porvi fine.

Ops..abbiamo usato il termine “imporre”. Ma non è stato un errore concettuale! Se il provvedimento legislativo, come pare, è votato a rendere punitivo il rifiuto della mediazione attraverso la condanna alle spese della parte rifiutante non può essere che questo il termine da usare. Si pensi ad una vertenza tra una banca o un gruppo assicurativo e un cittadino. Sono in pari condizioni?

Certo, hanno entrambi un avvocato. Ma chi è economicamente più debole in caso di condanna alle spese? Chi può permettersi il lusso di andare sino in fondo? Il cittadino potrebbe essere indotto ad accettare il vecchio detto “pochi, maledetti e subito” evitando il rischio di pagare il proprio difensore e quello di controparte allorchè una “mediazione” preannuncia una sentenza sfavorevole. Il Ministro Angelino Alfano che prima di esserlo è stato dottore di ricerca in diritto dell’impresa e avvocato penalista, queste cose non le sa? Non si rende conto di una dicotomia pericolosa tra le parti che il provvedimento potrebbe solo aumentare? E l’effetto induttivo sui giudici?

Forse non sappiamo che sono realmente oberati da miriade di processi?

Forse non sono consapevoli dei ritardi di anni delle loro sentenze? Forse non sanno delle procedure in forte aumento per il risarcimento dell’eccessiva durata dei processi? Potranno essere esenti dalla tentazione di utilizzare le mediazioni per fondarvi le loro decisioni? Si consideri poi che il reale effetto deflattivo della normativa lo si otterrebbe proprio con il moltiplicarsi delle condanne alle spese. Tale intento è peraltro palese nel provvedimento. Il vigile controllo del Ministero della Giustizia.

 

E’ una bella frase, in effetti. Ma non è lo stesso Ministero al quale ci siamo da anni rivolti al fine di tentare di risolvere le incresciose questioni delle “false” file agli uffici del Giudice di Pace di Roma per la richiesta delle copie sentenze o per effettuare le iscrizioni a ruolo? Cosa abbiamo ottenuto?

L’utilizzo imperante e imperativo delle agenzie specializzate che, nel frattempo, sono sorte come funghi. Quale organico ha il Ministero da dedicare a tale vigilanza? E le attività dei mediatori chi le remunererà? Noi avvocati, quelli con la vera passione, abbiamo sempre lasciato che l’ottimismo prevalesse.

Abbiamo creduto nel diritto, nell’affermazione della giustizia attraverso il costituzionale diritto di difesa. Dobbiamo ricrederci?

Infine una domanda pratica.

Vi risulta che ove è stato reso obbligatorio il tentativo di conciliazione ( rito del lavoro, cause contro imprese telefoniche) abbia realmente funzionato? Ma il provvedimento è alle porte. Ai posteri………

 

 

Settimio Catalisano *VICE PRESIDENTE U.N.A.R.C.A COMPONENTE DIRETTIVO A.GI.FOR.

 


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Le priorità della riforma forense

Aspettando Godot.

 

La riforma dell’ordinamento forense sta molto a cuore al ministro della giustizia che se ne fa in questi giorni attivo protagonista.

Non per caso se ne parla in consessi autorevoli che dibattono in generale sul futuro delle professioni ma con la comune premessa che la riforma della professione di avvocato ha carattere prioritario rispetto alle altre, in ragione del ruolo assegnato dalla Costituzione al sistema di garanzia dei diritti. Gli strumenti della comunicazione di massa anch’essi stanno dando eco e spazio ai problemi dell’avvocatura.

Molto bene ! Era ora ! Per di più il taglio della riforma partorita dal C.N.F. fa apparire addirittura sacrileghe le iniziative non dimenticate dell’On. Bersani.

Senonchè la concomitanza con altre attualità della giustizia quali, ad esempio, la riforma della magistratura, il tormentone delle intercettazioni, tradisce un particolare e insolito interesse dell’esecutivo alla classe forense che, pur largamente rappresentata in Parlamento, ha finora svolto il ruolo di Cenerentola nel dibattito civile. Le ragioni di un così vivo interesse agli operatori della giustizia appartengono all’attualità, sono ben note e non serve su di esse intrattenersi se non per raccomandare ai rappresentanti dell’avvocatura che di questo interesse, di questa attenzione inconsueta si faccia attenta verifica.

I problemi della avvocatura italiana sono molti e gravi; a risolverli non bastano il ripristino dei minimi tariffari, le apparenti strettoie del praticantato e dell’esame di abilitazione, la pretesa - impraticabile - di riserva della consulenza legale.

Ho già detto, in occasione di altra cortese ospitalità di InGiustizia, che la riforma caldeggiata da Alpa non risolve nessuno dei problemi dell’avvocatura italiana.

A una visione strettamente corporativa che è quella della riforma in fieri va sostituita una strategia di qualità e di informazione che comincia dalla scuola e dall’università e coinvolge i mezzi di comunicazione e l’opinione pubblica.

Le riforme non si improvvisano ma si preparano. Innanzitutto è all’università che va chiesto il compito della formazione e della selezione dei migliori o più semplicemente di quelli che si accingono all’esercizio di una professione; ma, si sa, questo compito le università non lo svolgono pur moltiplicando le prestazioni e le offerte: da quella informatica a quella per corrispondenza a quella “riparatoria: se bocciati riprepararsi” e via dicendo.

Né la crisi della giustizia italiana si risolve moltiplicando le A.D.R.: dalla conciliazione all’arbitrato, alla mediazione. Che anzi dietro la ricerca e le modalità codificate di soluzioni alternative delle controversie si nasconde talvolta l’inconfessato e grave sospetto che gli avvocati non abbiano interesse a risolvere il contenzioso dei clienti. Di qui la incredibile previsione dell’ art. 4 del D.Lvo n. 28/2010 sulla mediazione che commina addirittura la annullabilità del contratto di prestazione d’opera professionale nel caso l’avvocato non abbia informato il cliente “chiaramente e per iscritto” della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione.

Mi chiedo come l’avvocatura italiana, o chi per essa, abbia potuto tollerare un simile affronto che esprime senza mezzi termini il sospetto inammissibile e gravemente ingiurioso che l’avvocato possa tacere al cliente i suoi diritti per cavare dal silenzio propri vantaggi commettendo per di più un illecito che è direttamente e duramente sanzionato dal codice deontologico. La verità è che dietro il silenzio e la rassegnazione dei nostri rappresentanti c’è la rassegnazione e il senso di colpa d’una categoria incapace di fare opinione e di gridare a voce alta e ferma che della crisi della giustizia l’avvocatura italiana non ha alcuna colpa anzi nè la prima vittima; che la crisi della giustizia nasce dal costante rifiuto della classe politica di approntare alla giustizia gli strumenti necessari, dal rifiuto di tanta parte della magistratura di porsi con umiltà e laboriosità al servizio dei cittadini rinunciando a troppi privilegi e prerogative.

 

 

Giorgio Della Valle* Avvocato del Foro di Roma

 

 


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Dal decreto 70/2000 al risarcimento diretto

Attacco alla diligenza.

Correva l’anno 2000……potrebbe anche essere un l’inizio di un film di ricostruzione di topici avvenimenti storici o uno di fantascienza. In effetti, riflettendoci un momento, quello che sto per raccontare e documentare potrebbe rientrare in entrambe le categorie filmografiche, oppure far parte di una serie televisiva di successo chiamata “ La soluzione tentacolare”.

A partire dal marzo del 2000 la lobby assicurativa ha intrapreso infatti un percorso costellato di “virtuosismi” per giungere a realizzare il proprio progetto di “soluzione finale” di quelli che evidentemente considerava degli inutili e impropri intralci alle proprie mire economiche in materia di assicurazione per la R.C.A.

Nel marzo del 2000 venne tentato un blitz con il decreto legge 28 marzo 2000 n. 70, che, dopo una sollevazione generale (bei tempi!!) non fu convertito in legge e quindi decadde. Basta leggere qualche articolo di stampa per comprendere.

“Note della stampa dell’epoca- Corriere della Sera: Divisa anche la maggioranza sul provvedimento dell’ esecutivo. Benvenuto: va corretto Decreto Rc auto, i consumatori: è incostituzionale. ROMA - Tutti contro il decreto del governo che blocca le tariffe Rc auto. E crepe persino nella maggioranza. Il Comitato delle associazioni dei consumatori, delle associazioni forensi, dei medici legali e degli operatori del settore assicurativo in una riunione ieri si sono trovati d’ accordo per mettere a punto una strategia comune contro il provvedimento del governo. «Il decreto è una polizza infortuni per l’Ania da 10 mila miliardi», «è incostituzionale», «è una truffa nei confronti del danneggiato», «l’ articolo 3 sul danno biologico ci fa fare un salto indietro di 20 anni»: queste le affermazioni più salienti del dibattito che porterà il Comitato a presentare le sue critiche al parlamento e alle forze politiche perché il decreto sia corretto. Le associazioni, pur condividendo alcune parti del decreto (come la tariffa con franchigia e la nuova normativa sul preavviso, contestano lo strumento del decreto legge perché, dicono, «in una materia così delicata non esistono i motivi di estrema urgenza» di intervenire. Non solo, lo stesso relatore sul provvedimento per la commissione Finanze, Giorgio Benvenuto, ha invitato a esaminare con attenzione l’ articolo 3 del decreto proprio sulla misurazione del danno biologico in materia di Rc Auto.

La nuova disciplina, afferma, «se da un lato risponde all’ obiettiva esigenza di limitare l’ ampia discrezionalità in tema di quantificazione del danno biologico, dall’ altro si ispira a criteri che hanno suscitato numerosi rilievi critici e che, per ammissione dello stesso governo, hanno bisogno di una più puntuale definizione». Il decreto, rispetto agli attuali risarcimenti, realizza un taglio di oltre il 50% nelle invalidità da 1 a 5 punti e di circa il 30% nelle invalidità da 6 a 9 punti.”

Oggi, a posteriori, possiamo dire che quella battaglia vinta, una vittoria del buonsenso, sociale e giuridica, fu solo l’inizio di quella che, in seguito, è diventata una guerra totale, anche se non “lampo”.

Avvenne, infatti, che le assicurazioni riuscirono solo un anno dopo a far varare la legge 57/2001 che, pur senza troppo innovare apparentemente, pose in realtà la prima pietra di quella “babelica” costruzione destinata, almeno nelle intenzioni dei suoi accaniti fautori, a trasformare la R.C.A obbligatoria in un mero affare economico senza che i diritti (impropri?) dei cittadini danneggiati potessero ostacolarlo più di tanto.

La legge 57 conteneva invero l’allegato A, ovvero la famosa “TABELLA per la DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL PUNTO, che ridusse notevolmente i valori risarcitori sino ad allora praticati.

Ma dopo un solo anno venne messa in onda la storica e “natalizia” puntata della Legge 12 dicembre 2002, n. 273 denominata non a caso: “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”.

Titolo molto azzeccato e persino sincero, se non fosse che questo tipo di sincerità sarebbe meglio definirla tracotanza. Effettivamente la legge 273/02 tutto favoriva tranne che i danneggiati.

L’iniziativa privata della lobby assicurativa sicuramente, sbaragliava il reale sviluppo della concorrenza in cambio di una concorrenza oligopolica, assistita legislativamente.

Leggiamo l’articolo cardine del provvedimento legislativo: ART. 23. (Modalità di risarcimento del danno). 1. Il modello di denuncia di sinistro, previsto dall’articolo 5 del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39, si applica anche nel caso di danni a persona.

2. All’articolo 3 del citato decreto-legge n. 857 del 1976, come modificato dall’articolo 5, comma 1, della legge 5 marzo 2001, n. 57, dopo l’ottavo comma è inserito il seguente: “Il danneggiato che ha ottenuto il risarcimento dei danni subiti dal veicolo è tenuto a trasmettere all’assicuratore la fattura, o documento fiscale equivalente, relativa alla riparazione dei danni risarciti entro tre mesi dal risarcimento. Nel caso in cui il danneggiato non ottemperi a tale obbligo, l’assicuratore ha diritto a richiedere la restituzione dell’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno, fatta salva la disposizione di cui all’articolo 642 del codice penale. Nel caso di rottamazione del veicolo l’obbligo di presentazione della fattura è sostituito dall’obbligo di presentazione della documentazione attestante l’avvenuta rottamazione”.

3. Il comma 4 dell’articolo 5 della legge 5 marzo 2001, n. 57, è sostituito dal seguente: “4. L’ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 2 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”.

4. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle attività produttive, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della giustizia, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio dello Stato: a) delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 10 e 100 punti; b) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso.

Che dire? Un assist perfetto, degno del miglior Rivera, per chi ancora lo ricorda (come calciatore, beninteso). E noi? E l’unione che consentì la prima vittoria del 2000? Svampati|…direbbe il noto comico che nella sua parodia del “Filippino”.

Già allora si intravidero i germi della mancanza di reazione che sta oggi portando ad una sconfitta giuridica. I Consigli dell’Ordine non si compattarono, forse pensando che la materia R.C.A“non valesse la candela” ; il Parlamento (vedi uso smodato dei D.L e preferenze vietate) cominciò a perdere quel minimo di autonomia intellettuale, unico pregio che rende un Deputato degno di tale qualifica; le associazioni dei “consumatori” iniziarono a farsi gettonare e trascinare in una “Pax Augustea”, forse cedendo a qualche interesse personalistico.

L’aumento senza freni deipremi della R.C.A divenne l’arma letale in mano alle imprese assicuratrici per “convincere” anche i riottosi che il “riordino” del sistema R.C.A. fosse necessario per il bene della nazione. Ma già nel 1994, quando venne liberalizzato il settore, non si disse che la libera concorrenza avrebbe portato solo vantaggi agli assicurati-utenti? I fatti successivi sono noti e sotto gli occhi di tutti: il CODICE DELLE ASSICURAZIONI PRIVATE (Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n.209) completa la costruzione della torre, anche se immediatamente la si comincia a vedere vacillare, stante la pochezza delle sue fondamenta giuridiche e logiche. Il sistema si regge su presupposti illogici ed illegittimi e fioccano i dardi delle eccezioni di incostituzionalità.

Nella pratica regge solo per la volontà collaborativa delle parti che stendono veli pietosi cercando di renderlo accettabile. Ma alla lobby non basta, vogliono di più, sempre di più! Allora ecco che la Corte Costituzionale, unico organo istituzionale ancora in grado di mantenere un equilibrio giuridico, con la sentenza 180/09 pare porre fine alla presunta obbligatorietà del sistema del risarcimento diretto. La Corte, con sentenza interpretativa di rigetto, afferma che il sistema è compatibile con i principi costituzionali a patto che sia una sistema alternativo, non obbligatorio. La Torre di Babele vacilla, ondeggia…..ma l’ANIA si improvvisa carpentiere e tenta la sortita. La Corte dice che non può essere obbligatorio? Cercano di farlo diventare obbligatorio modificando la legge;con un escamotage: la figura del sostituto processuale.

Geniale…!! L’emendamento è pronto, ma l’impresa di inserirlo nel decreto mille proroghe non riesce per motivi tecnici. Ci riproveranno! Chi? Ma tutti gli autorizzati all’accesso al cantiere:!l’ANIA, L’ISVAP, l’ADICONSUM, stante il tenore univoco e monocorde delle loro relazioni alle audizioni di fronte alle commissioni Finanze e Attività Produttive. Nel frattempo però, come dicono a Milano, non stanno certo con le mani in mano (pulite o meno che siano), ed ecco l’ultimo anello della torre: la mediazione obbligatoria anche nella materia R.C Auto. Il Decreto è pronto e può essere letto su internet. E noi? Confidiamo solo nel C.N.F, unica istituzione forense interpellata per un parere?

 

Settimio Catalisano * VICE PRESIDENTE NAZIONALE U.N.A.R.C.A


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