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Giurisprudenza

Italgas Reti condannata per mancato allaccio del gas

L'iniziativa di Insieme Consumatori per il mancato allaccio del gas

Italgas Reti condannata a pagare 100 euro al giorno al consumatore, oltre alle spese legali

L'associazione preannuncia che la causa proseguirà per il risarcimento dei danni

L'associazione InSieme Consumatori si è fatta promotrice dell'iniziativa giudiziaria di un cittadino romano contro Italgas Reti spa.

Il cittdino si è rivolto ad InSieme Consumatori , chiedendo la tutela dell'associazione e lamentando che aveva presentato la domanda di allaccio del gas nella propria abitazione da circa un anno e che non era riuscito ad ottenerla, malgrado reclami e solleciti.

Così i legali di fiducia dell'associazione,  avv.ti Romolo Reboa e Roberta Verginelli, hanno così presentato ricorso ex art. 700 cpc al Tribunale di Roma contro Acea Energia spa ed Italgas Reti spa.

L’azione degli avvocati fiduciari di InSieme Consumatori , avv.ti Romolo Reboa e Roberta Verginelli, è stata accolta dal Giudice Antonella Izzo, che ha pronunciato l’ordinanza n° 5964/2018 ove sono stati fissati alcuni principi fondamentali per la difesa dei diritti dei consumatori nei confronti dei soprusi quotidiani che li vedono vittime delle grandi compagnie elettriche, del gas e telefoniche.

In primo luogo il Giudice ha fissato il principio che <> è elemento sufficiente a far ritenere che <>.

Dopodiché il Magistrato ha affermato che <Italgas sia meritevole di accoglimento e che, dato il carattere infungibile dell’attività omessa dalla convenuta, sia opportuno irrogare la misura di coercizione indiretta di cui all’art.614 bis c.p.c. fissando la somma di € 100,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento trascorsi 15 giorni dalla sua emanazione.>>..

In un comunicato stampa InSieme Consumatori ha fatto presente che la tutela del consumatore non si concluderà con questo provvedimento, che peraltro Italgas Reti spa non ha impugnato, in quanto gli avv.ti Romolo Reboa e Roberta Verginelli, stanno per inoltrare nuovo giudizio sia contro Acea Energia spa, venditrice del gas, che contro la distributrice  Italgas Reti spa, finalizzato ad ottenere il risarcimento del danno.


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Demansionamento: la condanna di Telecom Italia

Il lavoratore demansionato ha diritto

al risarcimento del danno


Logo Telecom ItaliaImportante pronuncia della sezione lavoro del Tribunale di Roma nell'ambito delle molteplici vertenze intentati dai lavoratori della Telecom Italia spa (TIM) all'azienda, deducendo l'illecito demansionamento attuato attraverso il trasferimento del dipendente da un ufficio ove egli aveva un ruolo ben determinato, con connesse responsabilità, ad altri uffici quali, il CSA (Customer Support Activities) o il DAC (Document Advanced Center).

Nel ricorso i difensori del lavoratore, avv.ti Romolo Reboa e Roberta Verginelli, entrambi del foro di Roma, avevano definito l'evento un "trasferimento demansionatorio" ed il Tribunale di Roma, accogliendo tale tesi, ha ingiunto a Telecom Italia spa (TIM) di pagare ad un lavoratore un importo mensile commisurato alla retribuzione globale di fatto a titolo di risarcimento del danno successivamente l’emissione della sentenza di accertamento (e condanna) di dequalificazione professionale.

Nella sentenza, la n. 5127/2016, la Telecom Italia spa è stata anche condannata a corrispondere una percentuale, a titolo di risarcimento del danno, commisurato sulla retribuzione globale di fatto dal dì del demansionamento, avvenuto nell’anno 2012, sino alla effettiva reintegra nella mansione per cui il ricorrente venne assunto.

La vicenda non si è però chiusa qui, dato che, a seguito di mancato adempimento della Telecom Italia spa all’ordine di reintegra del lavoratore nella mansione precedentemente svolta, il Tribunale civile di Roma le ha ingiunto l’ulteriore pagamento di € 12.000,00 a titolo di risarcimento del danno maturato dal giorno della sentenza sino alla proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo.

Gli avv.ti Romolo Reboa e Roberta Verginelli hanno dichiarato che a tale provvedimento seguiranno ulteriori ricorsi fino a che il lavoratore non verrà effettivamente reintegrato nella mansione adeguata.


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T.A.R. Lazio: deposito con modalità telematica

Con una nota del 19 gennaio 2017 trasmessa al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma,  il Dott. Luigi Consoli, Segretario Generale del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, ha dato comunicazione che il deposito, a far data dal 1° gennaio 2017, di copie del ricorso e degli scritti difensivi per ciascun giudizio introdotto avverrà con modalità telematica. Ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all’esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa, le precedenti norme.


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Sezioni Unite: luce sugli affitti in nero

Cosa accade nel caso in cui un contratto di locazione ad uso abitativo non venga redatto per iscritto Quali sono le conseguenze giuridiche che ne derivano? A questi interrogativi i Giudici della Suprema Corte hanno risposto con la sentenza n. 18214/2015, in modo da far luce su questa delicata quaestio iuris. Il punto di partenza dell’indagine condotta dagli Ermellini è costituito dall’art. 1 comma 4 della legge n. 431/98, secondo cui il contratto di locazione ad uso abitativo privo della forma scritta è da considerarsi nullo. Per essere più precisi, la disposizione richiamata prevede che: “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”. Nel corso dei successivi anni, tuttavia, è sorto un contrasto giurisprudenziale sulla natura del requisito della forma scritta. Sul punto, si sono scontrate tre linee di pensiero: 1. la forma scritta è da intendersi ad substantiam; 2. la forma scritta è da intendersi ad probationem; 3. la forma scritta è da intendersi ad essentiam. Per rispondere al quesito sottoposto al loro esame, le Sezioni Unite partono dall’analisi della normativa in materia locatizia, rilevando come il codice civile e la prima legge speciale n. 392/78 non prevedessero alcun requisito di forma per il contratto di locazione (ad eccezione dei contratti di durata ultranovennale ex art. 1350 n. 8 c.c.), mentre, oggi, l’art. 1, comma 4, l. n. 431/98 prevede espressamente la forma scritta per la valida conclusione di contratti di locazione ad uso abitativo. La ratio della disposizione oggi vigente - secondo i Giudici di legittimità - da un lato mira ad assicurare certezza ad un rapporto contrattuale inerente ad un bene della vita primario e di rilevanza costituzionale, dall’altro tutela le esigenze di stabilizzazione del rapporto negoziale con fissazione di un canone liberamente pattuito, ma al contempo cristallizzato per tutta la sua durata. Vi è, inoltre, una ragione di stampo pubblicistico che ha indotto il legislatore ad intervenire: l’obbligo della forma scritta, infatti, è stato previsto anche al fine di arginare l’annosa piaga degli affitti in nero, che ha causato ingenti ammanchi nelle casse dello Stato. Ciò premesso in linea generale - ed entrando nel merito della questione - i Giudici di legittimità hanno sposato la terza delle tesi sopra indicate, “limitando, peraltro, la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all’art. 13, comma 5 della L. n. 431 del 1998, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente. Il conduttore potrebbe cioè far valere egli solo la nullità qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria posizione dominante all’interno di un rapporto giocoforza asimmetrico”.In altre parole, solo nel caso in cui il contratto verbale sia stato “imposto” dal locatore, il conduttore potrà far valere in via esclusiva la nullità negoziale per mancanza della forma scritta ed esercitare, quindi, la facoltà di richiedere la riconduzione del rapporto locativo ex art. 13, comma 5 L. 431/98. Viceversa, nel caso in cui la mancanza della forma scritta non derivi da un’imposizione del locatore, bensì da un accordo tra le parti (accordo ritenuto non meritevole di tutela secondo il nostro ordinamento), la nullità è da ritenersi assoluta ed insanabile e, pertanto, la stessa potrà essere fatta valere in giudizio da chiunque vi abbia interesse, nonché essere rilevata d’ufficio da parte del giudice, così come previsto, in linea generale, dall’art. 1421 c.c.. Il locatore potrà, quindi, chiedere il rilascio dell’immobile per occupazione senza titolo, mentre il conduttore potrà ottenere la parziale restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone concordato, poiché – precisano le Sezioni Unite - “la restituzione dell’intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell’occupante”. La decisione in commento appare meritevole di segnalazione non solo perché dirime un conflitto giurisprudenziale in un settore particolarmente delicato, ma anche perché la soluzione adottata mira ad un equo contemperamento di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti, così da disincentivare condotte opportunistiche e/o illecite da parte dei consociati.

Daniele Costa 

avvocato del Foro di Roma 


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Le spese straordinarie per il mantenimento dei figli

Il Protocollo d’Intesa firmato tra l’Ordine degli Avvocati Roma e il Tribunale Capitolino nel dicembre dell’anno 2014, offre puntuale definizione delle spese straordinarie ponendo fine ad un’annosa diatriba, fonte di copioso contenzioso nelle Aule giudiziarie. Pregevole la ratio del provvedimento se si considera che, oltre alla richiamata finalità deflativa delle liti, consente al coniuge cui è affidata l’amministrazione dell’assegno di mantenimento una gestione più responsabile ed oculata della somma corrisposta dall’obbligato.

Secondo la richiamata definizione devono essere considerate straordinarie le spese “oggettivamente imprevedibili nell’an” come anche le spese che, “quantunque relative ad attività prevedibili, non sono determinabili nel quantum ovvero attengono ad esigenze episodiche e saltuarie. In tale ambito - prosegue il documento – vanno distinte le spese che devono considerarsi obbligatorie perché di fatto conseguenziali a scelte già concordate tra i coniugi (es. libri di testo o farmaci già prescritti dal medico individuato di comune accordo) oppure connesse a decisioni talmente urgenti da non consentire la previa concertazione, da quelle invece subordinate al consenso di entrambi i genitori”.

Il provvedimento individua con estrema chiarezza quali voci attengono alle spese straordinarie subordinate al consenso di entrambi i genitori (enucleando ulteriori sottocategorie quali: le scolastiche, quelle di natura ludica e parascolastica, le sportive e quelle medico-sanitarie) e quali invece devono considerarsi “obbligatorie” e quindi non soggette all’obbligo di previa concertazione con l’altro genitore.
Grazie alla tipizzazione concordata nel Protocollo d’Intesa è stato meglio definito cosa debba intendersi per “straordinarietà” della spesa, dando forma a quell’obbligo di carattere generale prescritto dal codice di merito all’art. 147 e sine dubio operativo anche in caso di separazione personale tra i genitori.
Anche i numerosi arresti giurisprudenziali hanno concluso per il riconoscimento in favore della prole, anche a seguito della separazione personale tra coniugi, del diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo per quanto possibile a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l'art. 147 cod. civ. che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. (Cfr. ex multis Cass. Civ., Sezione VI,  Ordinanza n. 21273 del 18/09/2013).
Si evince chiaramente il riferimento alle spese, non solo di natura c.d. ordinaria, ma anche a quelle di tipo “straordinario”, costantemente riconosciute dalla Giurisprudenza di Legittimità.
Sul punto, peraltro, numerose sono le questioni giuridiche portate all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour e meritevoli di trattazione, sia pure sinteticamente, in questa sede.
a) Obbligo di concertazione preventiva
Assai recente è l’intervento teso a definire la sussistenza o meno di un obbligo di previa concertazione della spese straordinaria. La Suprema Corte ha disposto che “non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l'altro in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di arredamento della cameretta, stage per l'apprendimento della lingua inglese), trattandosi di decisione "di maggiore interesse" per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso”. Sicché, qualora il coniuge non interpellato sia chiamato a rimborsare la quota di spettanza e si opponga alla spesa sostenuta a sua insaputa “il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all'interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell'entità della spesa rispetto all'utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori”. (Così Cass. Civ., Sezione 6, Ordinanza n. 16175 del 30/07/2015).
b) Natura del provvedimento del giudice della separazione in materia di spese
La Cassazione, con ordinanza del 02.03.2016, ha confermato il principio per cui  il provvedimento con il quale, in sede di separazione, il Giudice stabilisce che il genitore non affidatario paghi le spese straordinarie costituisce idoneo titolo esecutivo. Ciò posto, è sufficiente, statuiscono gli Ermellini, che il genitore che le ha sostenute alleghi e documenti l’effettiva sopravvenienza degli esborsi e la relativa entità affinchè possa utilmente procedere in sede monitoria. Il genitore opponente non può sindacare la natura illiquida ed inesigibile del credito contestato, in quanto tali eccezioni risultano del tutto infondate, secondo il costante orientamento della giurisprudenza. Piuttosto deve argomentare in ordine alla non rispondenza delle spese all’interesse del minore ovvero all’insostenibilità della spesa stessa se rapportata alle condizioni economiche dei genitori e all’utilità per i figli.
c) Impossibilità di determinazione in via forfettaria delle spese straordinarie nell’assegno di mantenimento
È con la sentenza 11894 del 09/06/2015 che la Suprema Corte ha ribadito l’impossibilità di includere in via forfettaria nell’assegno di mantenimento le spese che, per loro natura, hanno i caratteri dell’imprevedibilità e dell’imponderabilità in via aprioristica.
Cosicchè una simile determinazione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonchè recare grave nocumento alla prole. Manifesto è, infatti, il pregiudizio che potrebbe colpire i soggetti nel cui primario interesse vengono disposti i provvedimenti in materia di mantenimento: potrebbe darsi che le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo" non consentano di provvedere alle cure necessarie  ad altri indispensabili apporti.
Pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell'assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell'individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia.
Appare evidente il filo conduttore che lega le richiamate pronunce giurisprudenziali con il Protocollo d’Intesa sopra richiamato: manifesto è, infatti, il tentativo dei menzionati provvedimenti di delineare, in maniera quanto più possibile dettagliata e puntuale, una materia di cui il legislatore non ha dettato rigorosa regolamentazione.
Superate le difficoltà applicative, non si può che apprezzare il pregio offerto da detta soluzione di politica legislativa: consentire che sia il diritto vivente a modellare a sua immagine la regolamentazione di una materia in costante divenire e che finisce per incidere su interessi strettamente personali delle parti in causa.

Matteo Santini 

avvocato del Foro di Roma 


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