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Editoriali

15 meno 9 eguale 6

Il post elezioni dell’Ordine degli Avvocati di Roma non è riuscito a raggiungere i livelli mediatici e l’entità del contenzioso giudiziario della vicenda della lista del PDL a Roma per le regionali del Lazio, ma non si può negare che gli avvocati abbiano fatto di tutto per affidare alla Magistratura la decisione su chi li dovesse presiedere.
Ha iniziato il primo dei non eletti, avv. Testa, presentando ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso la proclamazione dell’avv. Graziani, deducendone l’ineleggibilità per avere egli terminato le funzioni di Commissario d'esame di Avvocato di una precedente sessione nel luglio 2008, deducendo la violazione dell’art 22, 6° co., del rdl 27.11.1933, n 157 che, nel testo vigente, che prevede un divieto di candidatura per gli avvocati commissari alle elezioni immediatamente successive all’incarico ricoperto.
Bel cavillo, tipico degli avvocati preparati ed attenti, quali lo sono il ricorrente ed il suo domiciliatario, l’ex Presidente, avv. Bucci, che si è ritirato dalla competizione, ma non riesce a rimanere estraneo alle vicende del Consiglio dell’Ordine: peccato che, in caso di accoglimento del ricorso, non subentrerebbe il primo dei non eletti, cioè l’avv. Testa, ma il Consiglio rimarrebbe con soli quattordici componenti sino alle elezioni suppletive nelle quali, probabilmente, il quorum non sarebbe raggiunto e, quindi, sino a fine mandato.
Visto che l’iniziativa si traduce di fatto in un pregiudizio per l’Ordine, la presunta ineleggibilità dell’avv. Graziani non poteva essere dedotta nel corso della campagna elettorale, così, magari, qualcuno evitava di votarlo?
Dimenticavo, il termine non era scaduto, siamo avvocati, usi procedere all’ultimo minuto…
Il contenzioso ha evidentemente stimolato il Presidente uscente, avv. Cassiani, che ha deciso di convocare la prima seduta dopo circa un mese dalle elezioni, l’11 Marzo 2010. Le motivazioni del lasso di tempo erano validissime sotto il profilo umano (una delicata operazione al cuore) e comprensibili sotto quello giuridico (la data era immediatamente successiva a quella fissata per la decisione del CNF sulla eleggibilità dell’avv. Graziani), ma è innegabile che, così facendo, si sarebbe prolungato il mandato all’Ordine uscente e provocato sotto il profilo decisionale una vacatio di fatto in difformità della volontà degli elettori.
L’atto amministrativo però c’era ed era giuridicamente valido, ma, poiché il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati è composto da… avvocati, ecco la soluzione.
L’avv. Giovanni Cipollone, malgrado la sua dinamicità ed il suo aspetto giovanile, si ricorda di essere nato nel 1932 e, quindi, rivendica la propria anzianità nei confronti del “giovane” avv. Cassiani (nato nel 1936), procedendo ad una convocazione del neo eletto consiglio per il 19 Febbraio 2010. E, qui, succede l’imprevisto. I fronti delle liste contrapposte si sfaldano, gli avv.ti Murra ed Arditi di Castelvetere raggiungono un’intesa con i colleghi che avevano sostenuto la lista Insieme, e con nove voti su quindici e l’astensione dell’avv. Graziani, vengono elette le nuove cariche istituzionali.
I numeri ci sono, indipendentemente dai cavilli giuridici e dall’esito del ricorso Testa / Graziani: quindi la logica voleva che la partita finisse lì, al massimo con qualche polemica finalizzata a guadagnare voti nella prossima competizione elettorale.
Ma se di mezzo ci sono gli avvocati, i numeri non contano, abbiamo studiato diritto, non matematica. Un consigliere, l’avv.sa Ceré, e l’avv. Testa ricorrono al TAR del Lazio contro la convocazione dell’avv. Cipollone ed i giudici amministrativi, che devono controllare il rispetto delle formalità indipendentemente dalle questioni sostanziali, si accorgono che il 1932 non è poi così importante, perché l’avv. Cassiani ha maggiore anzianità consiliare.
L’avevo detto che l’avv. Cipollone ha un aspetto giovanile!
A questo punto si è arrivati all’11 Marzo 2010, cioè alla data in cui si sarebbe dovuta tenere la seduta consiliare indetta dal Presidente, avv. Cassiani. In una situazione normale la riunione si sarebbe tenuta, si sarebbe preso atto che, ormai, vi era una maggioranza con numeri ampi e si sarebbe consentito agli avvocati di dormire sonni tranquilli sapendo che, alle loro spalle, vi era un Ordine professionale che, dopo qualche polemica, aveva assunto autorevolezza e compattezza.
Però siamo avvocati, è fisiologico che siamo presenti dove le situazioni non sono normali. Così, forte dell’anzianità dichiarata dal TAR, l’avv. Cassiani decide di revocare la convocazione fatta un mese prima per quel giorno, rifissando la seduta al 25 Marzo 2010 in attesa della decisione del ricorso contro l’avv. Graziani.
I convocati revocati però, come si dice a Roma, nun ce vonno stà e, quindi, annullano l’atto di rinvio e reiterano tutte le decisioni precedenti. I numeri battono i sofismi giuridici.
Ma ormai è guerra ed anche Cassiani, Ceré e Testa nun ce vonno stà e depositano motivi aggiunti al TAR per l’udienza del 24 Marzo 2010, sulla quale non vi posso raccontare nulla perché sto scrivendo questo articolo prima di tale data. Provo quindi ad immaginare quale scenario si creerebbe ove il TAR desse loro ragione e mi rendo conto che, al massimo, si potrebbe arrivare ad una nuova votazione che darebbe lo stesso risultato finale, cioè Conte presidente, Murra segretario e Gianzi tesoriere.
Vedo però i giudici che si divertono a dare i voti agli avvocati, censurando i loro atti amministrativi, sbeffeggiando così una categoria solo perché qualcuno sembra non aver capito che nove è un numero che supera il doppio di quindici.
Non mi piace questa scena e ancora di più mi disturba che i suoi protagonisti siano cari amici che vogliono contare senza saper contare, dimenticando così che summum jus, summa iniuria.

Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma


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L'ordine informatico

Il post elezioni forensi, come tutti i momenti simili, è caratterizzato dall’analisi del voto che vede generalmente i protagonisti leggere i risultati in senso a loro favorevole.
Mentre scrivo, stanno girando sul web mail ove i dati dei voti ricevuti dai candidati aggregatisi nelle liste e vengono riuniti e divisi al fine di trarne percentuali che dovrebbero dimostrare o smentire che il vincitore morale sarebbe l’avv. Vaglio (più votato dagli avvocati romani) e, quindi, egli avrebbe dovuto essere il destinatario di almeno una delle tre cariche istituzionali.
E’ una polemica che non mi appassiona cui, quindi, non parteciperò: ho già scritto nella mia lettera di rinuncia alla mia candidatura per il ballottaggio (riportata in sintesi nello speciale elezioni in altre pagine di questo giornale) che ritengo che la Legge Professionale, nel prevedere il doppio turno, deve essere interpretata nel senso che il legislatore abbia voluto stimolare rinunce, accorpamenti ed alleanze tra colleghi, in modo da assicurare all’elegendo Consiglio la maggioranza necessaria per un proficuo espletamento delle funzioni istituzionali.
Credo che, viceversa, sia più interessante procedere ad una analisi sociologica del voto. In primo luogo i numeri: al ballottaggio hanno votato 8.216 avvocati su 22.159 iscritti, il che significa che solo il 37% degli Avvocati Romani è interessato alla composizione dell’Ordine professionale.
E’ un dato probabilmente coerente con l’elevato numero degli iscritti, ma che significa anche che la maggioranza degli avvocati è completamente indifferente rispetto a ciò che fa l’Ordine e ritiene di fatto tale ente pubblico solo come il percettore di uno tanti barzelli italiani o come l’impositore di un minimo di regole disciplinari.
8.216 votanti significano anche che è impossibile per ogni candidato conoscere realmente i propri elettori e che, quindi, non vi potrà essere un rapporto reale tra eletto ed elettore. Ne deriva che la comunicazione non sarà più personale e per essa sarà quindi necessario adottare un linguaggio differente da quello tradizionale.
Ciò è confermato dai risultati: tra i sei consiglieri più votati, tre hanno fatto del web il proprio strumento di comunicazione principale e due hanno associato a tale forma il prestigio derivante dal ruolo di capolista ed altre modalità tipiche degli uomini politici.
La comunicazione via web si è dimostrata la più efficace: lo dimostra anche il fatto che il più votato (Mauro Vaglio) e gli unici eletti che non erano consiglieri uscenti (Domenico Condello ed Alessandro Graziani) sono in questo momento gli avvocati più accreditati sotto il profilo informatico ed hanno utilizzato tale strumento come la forma principale di dialogo con gli elettori.
Sia il neo presidente che Mauro Vaglio hanno poi anche fatto ricorso ad un video su Youtube, utilizzando per la prima volta tale strumento in una competizione forense.
Viceversa colui il quale era considerato una vera e propria , l’avv. Federico Bucci, che utilizzava sistemi (continui incontri, lettere, fax, ecc.) ha deciso di rinunciare per non essere riuscito a trasferire il proprio prestigio alle persone della propria lista.
Il numero di voti necessario per essere eletti consiglieri dell’Ordine degli Avvocati di Roma è superiore alle preferenze che consentirebbero di entrare nel Consiglio Comunale di Roma in un partito diverso da PDL o PD.
Sistemi di comunicazione di massa, numero degli iscritti e disaffezione per l’istituzione Consiglio dell’Ordine devono portare a riflettere sia sul ruolo dell’avvocato nel processo che sul modo di esercitare la professione.
Il nuovo processo telematico, oltre alle finalità positive di risolvere problemi di mobilità sul territorio e criticità derivanti dalle carenze del personale di cancelleria, apre le porte ad uno scenario futuro preoccupante: la sentenza automatica, ovvero emessa da un sistema informatico sulla base di parole chiave, quesiti predeterminati e riferimenti acritici a norme di legge.
La strada è stata aperta dalla motivazione sintetica delle sentenze con finalità deflattive di un sistema processuale ingolfato dalle carenze di organico e dalla incapacità di emettere pronunce con severe condanne per chi utilizzi lo strumento processuale per scopi dilatori o diversi da quello proprio di ottenere giustizia.
Chi scrive ha sempre sostenuto che, essendo il processo divenuto ormai essenzialmente scritto, sin dalle facoltà di giurisprudenza dovrebbe imporsi di studiare i fondamenti della scienza delle comunicazioni, atteso che l’arte oratoria diviene ogni giorno meno efficace.
La presa di coscienza dell’evoluzione dei modi di rapportarsi degli esseri umani anche nel pianeta giustizia non deve però limitarsi ad una accettazione acritica della nuova realtà e conseguente adeguamento alla stessa. Infatti, ciò facendo, si riduce la professionalità dell’avvocato a quella di operatore informatico con cognizioni di legge.
E’ palese che, se è vero che la maggioranza degli eletti al Consiglio dell’Ordine è costituita da validissimi professionisti, è analogamente vero che la maggior parte degli avvocati che sono difensori nei processi penali più importanti o curano gli affari civili più lucrosi o sono riusciti a dare un peso internazionale ai loro studi fa parte di quell’oltre 60% dei professionisti che hanno disertato le elezioni forensi e che si disinteressano delle vicende dell’Ordine.
Quindi, analizzando il mercato, l’informatica e le fasce reddituali sono su piani inversamente proporzionali, nel senso che i nuovi sistemi di comunicazione sono finalizzati ad assorbire il micro contenzioso quotidiano, con bassi indici di redditività delle singole pratiche.
In tale contesto lavorare per la dignità della toga non sarà facile per i nuovi eletti, cui quindi l’augurio di non è solo un atto di cortesia, ma una necessità derivante dall’arduo ruolo.

Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma


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La lente non basta

Nell’articolo dal titolo Liberare il vento, pubblicato su queste pagine due mesi or sono ed ancora presente sul sito internet www.in-giustizia.it, ho illustrato i motivi per i quali ho deciso di accettare la proposta del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, avv. Alessandro Cassiani, di candidarmi nella Lista del Presidente nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio per il bienni 2010/2011.

Scrivevo allora che la mia sfida era liberare il vento, cioè dare vitalità alle energie di una categoria da troppo tempo imbalsamata in vecchi schemi, per lo più succube dei politici e della Magistratura a causa di una proletarizzazione che ha trasformato una professione prestigiosa in un ammortizzatore sociale per laureati in giurisprudenza che diversamente avrebbero scarse diverse prospettive di lavoro.

Eppure l’elevato numero degli iscritti, se costituisce un innegabile elemento fattore di riduzione dei guadagni dei singoli professionisti, ha quale contropartita che conferisce ai rappresentanti della categoria un potere di contrattazione con la classe politica potenzialmente elevato, dato che può indirizzare molti voti.

La Lista del Presidente ha fatto proprie le battaglie sulle cose concretie ed intellettuali che da anni sostengo attraverso questo giornale, sicché tutti gli avvocati hanno ricevuto i volantini caratterizzati dalla lente di ingrandimento, nei quali è stato aperto il confronto sui temi di interesse per chi esercita quotidianamente la professione, alcuni dei quali oserei definire caldi perché sinora tabù, quali le regole di trasparenza sull’affidamento degli incarichi giudiziari da parte della Magistratura.

Il numero degli accessi in pochi giorni al sito internet lalistadelpresidente.it, ove è possibile votare sulle proposte formulate, è stato tale da non lasciare dubbi che gli avvocati vogliono che il percorso che il Consiglio dell’Ordine sia del tutto diverso da quello spesso rissoso ed inconcludente che alcuni colleghi hanno provocato magari involontariamente, a causa di un carattere che fa esplodere l’aggressività all’interno del consesso, provocando così reazioni ed antipatie.

Un collega consigliere, colpito da una grave malattia, ne ha imputato la colpa alle polemiche consiliari, di cui altri lo ritengono a sua volta colpevole: e forse è vero ciò che dicono entrambi, perché il dibattito tra i professionisti incaricati di guidare la categoria troppe volte si è trasformato in denunce penali che mortificano l’avvocatura di fronte al proprio interlocutore naturale, la Magistratura, che viene così eletta a proprio superiore, essendo chiamata a giudicare dei fatti di casa propria.

Ho titolato questo pezzo la lente non basta per vari motivi.

Il primo è che, se gli avvocati con i molti accessi al sito, con i voti elettronici, con i commenti nelle aule giudiziari hanno dimostrato che il vento vuole e può effettivamente liberarsi, la maggioranza dei candidati non ha colto l’occasione che gli è stata offerta, aprendo il confronto.

La lente è passata sotto gli occhi dei colleghi avversari spesso anche con simpatia e con parole di stima per quella che è stata definita una trovata mediatica, ma non ha aperto gli occhi di chi doveva aprirli per primi.

Speravo che la risposta dei nostri contraddittori sarebbe stata l’invito ad un pubblico dibattito per verificare quali fossero le convergenze e le divergenze sui temi proposti, alcuni dei quali nuovi ed ancora allo studio del Parlamento, quale il progetto Berselli per la privatizzazione della professione di ufficiale giudiziario.

Invece la chiusura, quasi la paura che parlare di temi concreti nell’interesse di tutti gli avvocati potesse dare un qualche vantaggio elettorale a chi è entrato in campo per ottenere non una carica pubblica, ma un risultato nell’interesse di una professione che è la fonte di sostentamento della propria famiglia ed il futuro dei propri figli.

Ho ricevuto, quale avvocato, una email nella quale mi venivano comunicate le iniziative assunte per far fronte agli effetti dei mancati pagamenti da parte del Ministero della Giustizia delle parcelle per le difese di ufficio e per il patrocinio a spese dello Stato, che consistono sostanzialmente in un finanziamento a tasso agevolato all’avvocato al fine di evitargli di venire stritolato dagli strozzini a causa dei pubblici inadempimenti.

Ho letto anche le polemiche riferite a tale missiva che, sembra, siano sfociate nell’ennesima denuncia penale: ritengo che la questione su cui soffermarsi sia un’altra e molto più importante.

Limitare gli effetti dell’inadempimento dello Stato per l’avvocato è sicuramente positivo, ma la necessità di farlo preoccupa perché significa in primis che la proletarizzazione della professione ha raggiunto un livello tale che il compenso per il gratuito patrocinio o la difesa d’ufficio non è più un quid pluris per l’economia del professionista forense, ma uno strumento di sostentamento che trasforma l’avvocato in una sorta di dipendente del sistema, come lo era nei paesi sovietici e lo è tuttora nelle nazioni a libertà limitata.

Ciò che nei paesi ove l’avvocato conta socialmente si fa pro bono, in Italia diviene il sostentamento principale, tanto da costringere gli ordini professionali a stringere convenzioni bancarie per impedire che i propri iscritti finiscano nelle mani degli strozzini.

Non è solo un problema di carattere economico o un interesse corporativo, ma un fatto che interessa i diritti fondamentali, la libertà del difensore, il cui destino è condizionato dai provvedimenti di liquidazione delle parcelle da parte della Magistratura.

A questa prima preoccupante considerazione se ne aggiunge però un’altra: gli Ordini si preoccupano di lenire le conseguenze delle malattie, ma trascurano di affrontare la patologia, aggravandone così le conseguenze.

Perché la patologia è l’inerzia costante di fronte al fenomeno del degrado del ruolo del difensore, l’accettazione del sistema senza una reazione costante: se gli avvocati civilisti, che hanno una segretaria nei loro studi, non avessero accettato di fare i segretari ai magistrati in udienza, scrivendosi i verbali da soli, avrebbero probabilmente avuto questi ultimi quali alleati nel richiedere la presenza del cancelliere in udienza.

Se la lente non basta, se il dibattito fa paura, allora la scelta non può che essere tra il continuare a nascondere la testa sotto la sabbia o cercare di dare all’Avvocatura una nuova maggioranza coesa, per tentare una svolta nella continuità.

 

Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

 


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Auguri, avversario

In seguito alla accettazione della candidatura nella Lista del Presidente alle prossime elezioni forensi, ho inviato a tutti i colleghi che hanno preannunciato di voler partecipare alla competizione elettorale la lettera che segue. Come avrai probabilmente appreso leggendo su InGIUSTIZIA la PAROLA al POPOLO il mio articolo dal titolo Liberare il vento, ho accettato la proposta del Presidente, avv. Cassiani, di candidarmi nella prossima competizione elettorale per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine.
La molla che mi ha fatto decidere di presentarmi dopo circa trenta anni di professione che mi hanno visto spettatore di tante competizioni elettorali non è stata l’ ambizione di essere eletto ad un importante incarico di rappresentanza dei colleghi. Ho deciso di candidarmi in quanto ritengo opportuno che il dibattito politico preelettorale sia stemperato dalle polemiche personali delle quali si ha contezza leggendo i verbali delle sedute del Consiglio dell’Ordine e si accentri su temi di interesse della nostra professione e del nostro Foro che, sinora, sono stati una sorta di tabù.
Sono stanco di sentire parlare di dignità della toga, ma non vedere l’Avvocatura Romana battersi compatta perché il Tribunale e la Corte di Appello istituiscano un registro degli incarichi giudiziari consultabile via internet ed un regolamento per il loro accesso, con conseguente possibilità a tutti gli iscritti di accedervi.
Mi rifiuto di continuare ad accettare che il Tribunale di Roma trovi spazi per camere di conciliazione, cioè per organismi potenzialmente atti ad indirizzare i clienti a questo a quello studio, ma ometta di allestire sale avvocati degne di questo nome, ancora una volta nel silenzio degli interessati.
E, ancora, desidererei che in seno all’Ordine vi fosse una maggioranza compatta ed in prima linea per ottenere l’accesso (eventualmente a rotazione) delle auto degli avvocati ai parcheggi esistenti in seno agli uffici giudiziari, non ritenendo accettabile per la ns/ categoria la posizione di sudditanza nei confronti dei magistrati e degli altri operatori giudiziari che trova implicita conferma dall’esclusione dei difensori da tale opportunità. In questi anni da elettore avrei voluto vedere il ns/ Consiglio lottare unitariamente per il trasferimento degli uffici del Giudice di Pace Penale in zona Prati e l’apertura di sportelli dell’Agenzia delle Entrate per la registrazione delle sentenze all’interno degli uffici giudiziari o vederlo protagonista nella conclusione di convenzioni con il Ministero della Giustizia per gestire i servizi che non funzionano, quali quelli dell’iscrizione a ruolo, facendo cessare l’ignobile fenomeno delle code che favoriscono le agenzie private.
Mi sono sempre chiesto perché l’Avvocatura non si ponga quale obiettivo la privatizzazione della professione di Ufficiale Giudiziario, sul modello francese, eliminando così code all’Ufficio Notifiche e ridando funzionalità al sistema, con assorbimento di migliaia di laureati in giurisprudenza.
Ritengo che, se vogliamo che la ns/ professione possa avere delle prospettive, domande come queste che non possano continuare a rimanere senza risposta: entrare in competizione è divenuta una necessità per far cessare l’assordante silenzio, per aprire il dibattito, per avere una tribuna ove confrontarmi con Te e con gli altri colleghi candidati su questi temi.
Se civilmente e costruttivamente riusciremo a discutere di ciò in campagna elettorale e non a ripetere le solite formule per acchiappare voti, la mia candidatura avrà avuto un senso e la mia missione sarà stata compiuta, indipendentemente dal raggiungimento o meno del numero dei consensi necessari per la mia elezione.
Ho, quindi, deciso di scriverTi, per aprire formalmente il certamen intellettuale nell’interesse della ns/professione, ma, anche, per augurarTi in bocca al lupo nella corsa elettorale che ci vedrà per qualche giorno avversari competitori, ma mai potrà (e dovrà) trasformarci da colleghi in nemici. Ho deciso di assumere questa iniziativa dopo averne informato i colleghi della Lista del Presidente oltre che per i motivi in essa esposti in quanto ritengo che l’Avvocatura Romana, che dovrà selezionare i propri candidati tra quelli che si presentano apparentati in quattro liste tutte composte di nomi autorevoli e prestigiosi, se vorrà tentare di fare un salto di qualità nella tutela dei diritti propri e della giustizia, non potrà limitarsi a votare l’amico o la persona che conosce di nome, magari perché ha organizzato una festa o una competizione sportiva.
Se si vuole che l’Ordine degli Avvocati apra un civile, ma fermo confronto con la Magistratura romana e con la dirigenza della Corte di Appello, che sinora non ha risposto alla formale richiesta di questa testata esprimere la propria opinione su temi probabilmente non graditi, quali le modalità di assegnazione di arbitrati ed altri incarichi giudiziari o perché i parcheggi delle ex caserme e di p.le Clodio siano a disposizione esclusiva dei giudici, l’elettore deve sapere quali candidati siano disponibili a fare propria questa battaglia per la trasparenza e contro i privilegi e quali no.
E i contrari debbono dire perché lo sono, così come gli elettori debbono conoscere se sono stati destinatari di incarichi giudiziari.
E’ da quando ero praticante procuratore che vi sono code all’ufficio notifiche: lì ho appreso dai colleghi più anziani che, per eseguire sfratti difficili, era meglio rivolgersi ad un certo fabbro che godeva della fiducia di alcuni ufficiali giudiziari. Mi resi subito conto che era il sistema che favoriva quello che, con rassegnazione, viene definito l’italico andazzo.
Nessuno, in trent’anni ha combattuto veramente quel sistema, lottando per privatizzare la professione di ufficiale giudiziario, come avviene nelle nazioni ove la giustizia civile funziona. Ora al Senato vi è la proposta di legge Berseli inspirata dall’AUGE (Ass. Uff. Giud. In Europa), ma l’Avvocatura la ignora.
Perché? Potrei continuare, ma lo spazio è tiranno: allora, auguri, avversario, ma confrontiamoci, perché l’Ordine degli Avvocati deve essere un vulcano intellettuale che tutela i propri iscritti, non un circolo di amici qualificati che giudica gli altri con supponenza.

Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma


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Liberare il vento

Quando ho ricevuto la telefonata con la quale mi si chiedeva di candidarmi per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma la prima reazione istintiva è stata di declinare l’invito, avendo da tempo perduto fiducia sulla capacità di tale istituzione di fare qualcosa di diverso dalla tenuta dell’elenco degli iscritti.
L’autorevolezza della persona da cui proveniva la richiesta, il Presidente dell’Ordine, e l’assicurazione che la mia candidatura trovava origine nella volontà di costruire qualcosa di nuovo mi hanno indotto a subordinare la mia risposta alla verifica della esistenza di convergenze su una pregiudiziale e su un programma elettorale diverso da quelli che giungono nei vari studi, tanto ammiccanti quanto eguali negli anni.
Anche perché, non avendo interesse o ambizione personale ad un incarico pubblico non retribuito che sottrae molto tempo alla professione, l’accettazione non poteva che essere condizionata dalla possibilità di combattere una battaglia ideale per assicurare la sopravvivenza ad una categoria in crisi e, quindi, un futuro ai nostri figli.
La pregiudiziale è stata accolta sin dal primo colloquio telefonico: il fatto che degli avvocati si uniscano intorno ad un programma, formando una lista, non doveva trasformare questo apparentamento elettorale in una sorta di falange armata contro i colleghi riuniti in altre liste perché ogni avvocato che manifesti la disponibilità di mettere a disposizione il proprio tempo in favore della propria comunità è in primis un collega meritevole di ringraziamento.
Il fatto che, anacronisticamente, il Consiglio di un Ordine con oltre 20.000 iscritti sia formato da soli 15 componenti rende fisiologico che vi siano alcune centinaia di persone che aspirano a dare il proprio contributo decisionale. Ciò è una ricchezza dell’avvocatura, è l’humus vitale da cui ricominciare a costruire.
L’esperienza degli ultimi 20 anni insegna che il Consiglio viene sempre formato da colleghi che si erano apparentati in liste diverse: dopo la competizione essi dovranno quindi collaborare per il bene di tutti.
I Consigli degli Ordini che sono autorevoli nei loro circondari sono quelli che eleggono il proprio Presidente all’unanimità.
A Roma, viceversa, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da contrapposizioni e liti che hanno trasformato l’Ordine in una sorta di babele urlante: le elezioni alla Cassa Forense hanno dimostrato che, così facendo, gli Ordini della provincia, con molti meno iscritti complessivi, hanno ottenuto risultati impensabili a danno della Capitale. Nello spirito pluralista che anima la testata che dirigo, la pregiudiziale (subito accolta dal Presidente Cassiani) era che la campagna elettorale degli avvocati apparentati nella abbia un alto profilo istituzionale e che, quindi, eviterà di trasformare la inevitabile dialettica elettorale in polemiche e risse indegne di chi vuole che all’Avvocatura sia riconosciuto un ruolo costituzionale nell’amministrazione della giustizia.
Nella riunione di presentazione dei colleghi cui il Presidente ha proposto di apparentarsi ho quindi esposto le voci del programma elettorale che ritenevo essenziali per accettare di partecipare alla competizione.
Ho chiesto discorsi nuovi rispetto al passato, sapendo che, ove fossero stati recepiti in una lista che presenta due delle tre cariche istituzionali uscenti (oltre al Presidente Cassiani ad essa ha dato vita anche il Tesoriere, Rosa Ierardi,), ciò avrebbe comunque provocato un cambio di marcia del Consiglio dell’Ordine.
Infatti molti amici e colleghi che si presentano apparentati in altre liste mi hanno più volte confidato che la litigiosità è la causa principale della staticità dell’Ordine forense romano e che essi sarebbero personalmente favorevoli ad una politica istituzionalmente più forte, ove ve ne fossero i presupposti interni.
Il che significa che il vento della novità è una energia costruttiva in fieri, ma ha necessità che qualcuno abbia il coraggio di liberarlo.
Ho lanciato questa sfida: liberare il vento. La sfida che è stata accolta e candidarmi è diventato un dovere, quasi una missione per portare al centro del dibattito elettorale temi importanti e scottanti, ma sinora affrontati solo nei corridoi.
Perché da oggi non sarà più solo la rivista InGIUSTIZIA a battersi perché l’Avvocatura Romana pretenda che il Tribunale e la Corte di Appello istituiscano un registro degli incarichi giudiziari consultabile via internet ed un regolamento per il loro accesso, con conseguente possibilità a tutti gli iscritti di accedervi.
Né si dica che è una battaglia di basso profilo, in quanto è in gioco la libertà del difensore: senza trasparenza e regole precise l’avvocato che accetta incarichi dalla Magistratura si sottomette al suo potere economico e rinuncia così alla propria indipendenza nei confronti del Giudicante.
E, ancora, in questa campagna elettorale sarà l’Avvocatura a decidere se premiare o bocciare chi resta silente di fronte al fatto che in Tribunale si trovano gli spazi per camere di conciliazione, cioè per organismi forse utili, ma potenzialmente atti ad indirizzare i clienti a questo o a quello studio, ma non per sale avvocati degne di questo nome, dove le transazioni si potrebbero veramente concludere. Né la questione dell’accesso ai parcheggi esistenti all’interno degli uffici giudiziari potrà più rimanere a livello di brontolii di corridoio…
La campagna elettorale dovrà avere al centro del dibattito non le solite belle parole sulla dignità della toga, ma cosa ha fatto e cosa intende fare l’Ordine degli Avvocati per ottenere il trasferimento degli uffici del Giudice di Pace penale in zona Prati e l’apertura di sportelli dell’Agenzia delle Entrate per la registrazione delle sentenze all’interno degli uffici giudiziari.
Si dovrà parlare della possibilità per l’Ordine degli Avvocati di Roma, quale ente pubblico, di concludere rapidamente delle convenzioni con il Ministero della Giustizia per gestire i servizi che non funzionano, quali quelli dell’iscrizione a ruolo e di privatizzazione degli Ufficiali Giudiziari, facendo cessare l’ignobile fenomeno delle code che favoriscono le agenzie private.
E, ancora, di modifica del sistema tariffario e del ruolo dell’avvocato nei consigli giudiziari. Se civilmente e costruttivamente riusciremo a discutere di questi temi in campagna elettorale, senza ripetere sterili formule acchiappa - voti, la mia candidatura avrà avuto un senso e la mia missione sarà stata compiuta, indipendentemente dal raggiungimento o meno del numero dei consensi necessari per la elezione.  

Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

 

 


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Convegno: Magistrati scrittori

Il 2 ottobre 2011 si è tenuta presso la Pinacoteca Palacultura di Latina la quarta edizione del Convegno dei magistrati-scrittori,realizzato da Eugius, Unione Giudici Scrittori d’Europa, nell’ambito della kermesse “Giallolatino”, Leggi tutto

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35 anni tra i protagonisti al "Canottieri Roma"

Festeggiato il compleanno della fondazione del giornale con la presentazione del libro "Da Piazzale Appio a Piazzale Clodio" Martedì 14 dicembre 2010, presso il “Circolo Canottieri di Roma”, si è svolta Leggi tutto

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"Per i diritti degli ultimi"

La tradizionale serata di fine anno della rivista Venerdì 16 dicembre 2011 la nostra Capitale ha cambiato aspetto, o almeno così è stato in via Flaminia 213 dove, presso lo Studio Leggi tutto