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UE: i diritti diventano difficoltà

Causa di preoccupazione o mera conferma di fondate preoccupazioni? Solo il buon senso fa credere a chi è sempre stato comprensibilmente contrario al mandato d'arresto europeo che la relazione dell'europarlamento sullo stesso mandato sia preoccupante, anzi totalmente allarmante.

Le considerazioni espresse nel testo A6-0049/2006 definiscono una così bassa considerazione per elementi quali la sicurezza nazionale o i diritti fondamentali che solo la bandiera blu stellata fa capire che si parla ancora di Europa, occidente.

Non c'è spazio per i giri di parole nella lunga lista di 'considerando' che precede le raccomandazioni dell'assemblea al Consiglio UE: «considerando la volontà manifesta di vari Stati membri di […] aggiungere motivi supplementari di rifiuto contrari alla decisione quadro 2002/584/GAI (istitutiva del mandato, ndr) quali motivi […] di sicurezza nazionale oppure rispetto dei diritti fondamentali… »; oppure: «considerando le difficoltà di trasposizione riscontrate recentemente da vari Stati membri (in particolare la Germania) e la necessità di rendere i testi costituzionali nazionali conformi alla decisione quadro 2002/584/GAI», per finire con un «considerando che la mancanza di fiducia reciproca tra giudici […] limita l'efficacia della cooperazione giudiziaria».

Ebbene sì, il Parlamento Europeo, secondo solo alla Commissione nella gara per simboleggiare una burocrazia continentaletanto costosa quanto inefficiente, ha deciso di dare lezioni proprio di efficienza ed efficacia agli Stati membri per far funzionare meglio il mandato, iniziando a sacrificare pilastri quali la sicurezza nazionale, le costituzioni ed i diritti fondamentali.

Si conferma così che il rifiuto della consegna di una persona per motivi di sicurezza nazionale non è legittimo, ammettendo implicitamente che il mandato d'arresto europeo potrebbe implicare una minaccia per la sicurezza nazionale e che nonostante ciò esso debba prevalere.

Si conferma che il rispetto dei diritti fondamentali è un motivo di rifiuto illegittimo, ammettendo implicitamente che il mandato d'arresto europeo potrebbe implicare una minaccia per i diritti fondamentali dell'interessato e che nonostante ciò esso debba prevalere.

Si conferma che, per il febbrile europeismo degli europarlamentari, la costruzione di un altro tassello del super Stato europeo ben giustifica l'adeguamento delle storiche e democratiche costituzioni dei Paesi europei alle procedure dell'UE, e non il contrario, come consiglierebbe il senso comune.

Si conferma che in questa Europa unita sulla carta, e soprattutto con la carta delle gazzette ufficiali, nemmeno i giudici si fidano gli uni degli altri.

La precedente relazione della Commissione COM(2005) 63 appare meno retorica, ma non meno biasimevole.

«La consegna di propri cittadini» da parte di uno Stato, un'operazione che implica un palese tradimento di quel dovere di protezione che ogni organizzazione statuale ha nei confronti dei propri cittadini, viene giudicata «una grande innovazione della decisione quadro» che «è ormai divenuta una realtà».

«Il controllo sistematico della doppia incriminazione» è diventato una mera «difficoltà».

Il motivo di rifiuto sulla base del principio «del ne bis in idem […] che permette a certi Stati membri di colmare una lacuna della decisione quadro», o il rifiuto per «violazione dei diritti fondamentali» o «per discriminazione», così come per motivi «di sicurezza nazionale o implicanti un controllo nel merito del caso», «devono essere invocati solo eccezionalmente in seno all'Unione».

Per finire ci si lamenta del fatto che «la decisione quadro non prevede di attribuire valore di domanda di arresto provvisorio a una segnalazione Interpol, contrariamente a quanto avviene per una segnalazione SIS». Dove andremo a finire di questo passo?.

 

Andrea Trunzo